Persona come fonte di prova

Il soggetto può essere inteso come:

  • fonte di prova dichiarativa, se quello che si cerca non esiste senza l’attivazione e la collaborazione del soggetto. In tal caso si delinea una netta differenza tra:
    • l’imputato, titolare di una posizione soggettiva che consiste in un pieno diritto di non collaborare;
    • gli altri individui (eventuali testimoni), che possono essere puniti per il rifiuto di rispondere o per la falsità in forza delle norme costituzionali che tutelano l’interesse alla repressione dei reati;
  • fonte di prova reale, se il soggetto riveste interesse probatorio non per quello che dice ma per il ruolo che riveste. In tal caso, venendo in rilievo attività (es. perquisizioni, sequestri) che comprimono le singole libertà personali (es. art. 13 Cost.), l’imputato risulta sostanzialmente equiparabile ad un quivis de populo.

Deposizione

Dato che il testimone deve essere esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova (art. 194), le domande:

  • devono essere pertinenti (co. 1), dovendo necessariamente riguardare i fatti che si riferiscono all’imputazione e i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Le deposizioni sulla moralità dell’imputato, in particolare, sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità;
  • devono avere ad oggetto fatti determinati (co. 3): il testimone, infatti, non può deporre sulle voci correnti del pubblico o esprimere apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione dei fatti .

L’esame del testimone, peraltro, può estendersi ai rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni e può avere ad oggetto le circostanze che servono ad accertare la credibilità sia delle parti sia dei testimoni (co. 2).

Le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due limiti:

  • la deposizione su fatti che servono a definire la personalità della persona offesa (art. 194 co. 2) è ammessa soltanto quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona (es. delitti di violenza sessuale);
  • le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate (l. n. 228 del 2003), essendo consentite solo se necessarie alla ricostruzione del fatto .
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