Alcuni mezzi di prova sono accomunati dal fatto che nella fase di assunzione esiste un vero e proprio potere di direzione spettante al giudice. Rispetto a tali atti le parti, avendo un ruolo marginale, si limitano a controllare che esso di svolga in modo regolare.

Il primo di tali mezzi di prova è il confronto che consiste nell’esame congiunto di due o più persone che siano già state esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti (art. 211). Due sono i presupposti di questo mezzo di prova:

  • che vi sia un disaccordo tra due o più persone su fatti e circostanze importanti. L’esigenza che vi siano precedenti dichiarazioni discordanti svela il momento a partire dal quale il mezzo di prova può essere disposto (es. indagini, dibattimento, appello).
  • che le persone da mettere a confronto siano già state esaminate o interrogate (es. imputati, testimoni, parti private).

Il confronto, in quanto mezzo di prova, ne segue i principi generali:

  • quanto all’ammissione del confronto, esso viene richiesto dalle parti, ma in dibattimento può anche essere disposto dal giudice. Il confronto, peraltro, deve essere:
    • rilevante, dal momento che deve esservi un disaccordo tra i dichiaranti;
    • pertinente, dal momento che deve vertere su fatti e circostanze importanti;
  • quanto alle modalità del confronto, la normativa esalta il ruolo del giudice al quale spetta un potere propulsivo oltre che direttivo: il giudice, infatti, richiamate le precedenti dichiarazioni discordanti, invita le parti alle reciproche contestazioni (art. 212 co. 1).

Sebbene tutto quanto avvenga durante il confronto debba essere annotato (co. 2), l’imputato continua a godere del diritto al silenzio, il cui esercizio non può essere pregiudicato sul piano probatorio.

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