La deducibilità e le sanatorie

La sanatoria è un fatto successivo che combinandosi con la fattispecie imperfetta determina una equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto viziato. La deducibilità delle nullità relative e a regime intermedio trova un duplice limite soggettivo: non possono essere dedotte o eccepite da chi vi ha dato o concorso a darvi causa, né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. L’art. 182 comma 2 prevede che la nullità debba essere eccepita prima del compimento dell’atto, oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo.

I termini previsti per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza. La disciplina delle sanatorie generali si incentra su due figure (art. 183). Alla prima, definita acquiescenza (lett. a), si ascrivono la rinuncia espressa della parte interessata a eccepire la nullità e l’accettazione degli effetti dell’atto (espressa o tacita). Alla seconda (lett. b) si riferiscono invece i casi in cui la parte si sia avvalsa della facoltà al cui l’atto omesso o nullo è preordinato, trattasi cioè di sanatoria per il raggiungimento dello scopo.

È escluso che le sanatorie generali operino nei confronti delle nullità assolute, esse valgono però per le nullità relative e per quelle a regime intermedio.

 

Gli effetti della dichiarazione di nullità

Gli effetti della dichiarazione di nullità sono disciplinati dall’art. 185 che li colloca in successione logica.

La nullità di un atto comporta anzitutto l’invalidità di quelli che dipendono da esso (nullità derivata).

Il giudice che dichiara la nullità, dispone la rinnovazione dell’atto solo qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi abbia dato causa alla nullità per dolo o colpa grave.

Se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui la stessa si è verificata, comporta la regressione del procedimento allo stato e grado in cui si è compiuto l’atto nullo, purchè si tratti di un atto di natura non probatoria. Per le nullità attenenti alle prove, il giudice non può avvalersi della regressione, ma deve provvedere alla rinnovazione, sempre che ciò sia necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile.

 

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