Il diritto di difesa tecnica comporta il diritto dell’imputato/indagato di nominare un difensore (avvocato) che andrà ad affiancarlo nel corso del procedimento, per assisterlo e rappresentarlo. Il diritto di nominare un difensore, rafforza il diritto di autodifesa. Per legge ciascun imputato ha diritto a nominare fino a un massimo di due difensori di sua scelta, che verranno definiti “difensori di fiducia”. In realtà l’imputato potrà farsi assistere da un numero illimitato di difensori, tuttavia solamente due potranno comparire sulla scena processuale.
La difesa tecnica è irrinunciabile, in altre parole l’imputato/indagato dovrà necessariamente nominare un difensore (in caso contrario l’autorità procedente, provvederà a nominare un difensore d’ufficio ex articolo 97 del c.p.p.). Questa regola deriva dall’impossibilità dell’imputato/indagato di difendersi personalmente nel corso del procedimento penale.
Per quanto riguarda i compiti che verranno assolti dal difensore nell’esercizio del suo mandato: egli, ai sensi degli articoli 99 e ss. del c.p.p., ha il potere di compiere, per conto del suo assistito, tutti gli atti che secondo il codice non debbono essere compiuti dalla parte in prima persona.
Per questi ultimi (si pensi ad esempio alla remissione della querela o alla richiesta di patteggiamento), il difensore dovrà munirsi di una procura speciale e agire nella veste di rappresentante volontario dell’imputato.
La nomina del difensore è un atto a forma libera, può essere una dichiarazione scritta o orale, consegnata all’autorità procedente dall’imputato o direttamente dal difensore. Se l’interessato si trova in uno stato di privazione della libertà (arresto, fermo, custodia cautelare), la nomina del difensore potrà essere operata da un prossimo congiunto (articolo 96 3° comma c.p.p.). Una volta che il difensore è stato nominato, potranno verificarsi due distinti eventi.
Il difensore rifiuta la nomina: in questo caso il rifiuto ha effetto solamente da quando esso viene portato a conoscenza dell’autorità procedente (ai sensi dell’articolo 107 1° e 2° comma del c.p.p.).
Il difensore rinuncia al mandato dopo averlo accettato: in questo caso sul difensore grava l’onere di comunicare tempestivamente la rinuncia alla parte e all’autorità procedente. Detta rinuncia, tuttavia, non produce effetto finché l’imputato non è assistito da un nuovo legale e comunque finchè non è trascorso un termine di 7 giorni dalla rinuncia (il c.d. termine a difesa). In questo modo viene garantita la continuità nell’assistenza difensiva.
Se l’imputato non procede alla nomina di un difensore, l’autorità procedente nominerà un difensore d’ufficio, selezionandolo in un elenco appositamente predisposto dal consiglio dell’ordine degli avvocati. Il difensore d’ufficio ha le stesse prerogative di quello di fiducia, compreso il diritto ad essere retribuito dal suo assistito.
A differenza del difensore di fiducia, tuttavia, non potrà rinunciare o rifiutare l’incarico, a meno che non ricorra un giustificato motivo per la sua sostituzione. Da notare che nonostante la nomina di un difensore d’ufficio, l’imputato mantiene il diritto di nominare un difensore di fiducia in sostituzione (di quello d’ufficio).
Il problema principale del difensore d’ufficio, è la mancanza di una norma che obblighi l’autorità procedente a intervenire ogni qual volta accerti una carenza nello svolgimento del mandato difensivo (da parte del difensore d’ufficio). La Corte europea ha più volte segnalato la necessità di un intervento dell’autorità procedente, ogni qual volta il difensore d’ufficio dimostri un’evidente carenza nello svolgimento del suo mandato (carenza che può essere attestata dal giudice ovvero segnalata dallo stesso imputato).
Fra le varie ipotesi prese in considerazione dalla Corte, la più grave carenza di cui può rendersi responsabile il difensore d’ufficio, è la mancata presenza nelle fasi procedimentali che richiedono il suo intervento: in questo caso si ha una chiara violazione del dovere di assicurare l’assistenza dell’imputato, caratteristica primaria che contraddistingue il difensore d’ufficio dal difensore di fiducia.
Inoltre il mancato intervento nel processo obbligherà il giudice a nominare un sostituto per il compimento di quell’atto processuale; sostituto che, frequentemente, risulta ancora meno adatto allo svolgimento del mandato difensivo. Per tutte queste ragioni l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Ue per ineffettività della difesa d’ufficio.
Tanto il difensore di fiducia quanto quello d’ufficio, hanno l’obbligo di partecipare agli atti per i quali è richiesta la loro necessaria presenza (ad es. alle udienze dibattimentali).
Se il difensore non è stato informato dell’atto che verrà compiuto (in quanto, ad es. non è stato possibile reperirlo) ovvero ha abbandonato la difesa: il giudice procederà a nominare un sostituto d’ufficio, che si occuperà solamente del compimento di quell’atto (ciò significa che il titolare dell’ufficio di difesa rimane il difensore, di fiducia o d’ufficio, precedentemente designato).
Se il difensore si trova nell’impossibilità di presenziare all’atto, a causa di un concomitante impegno professionale: può chiedere con apposita istanza il differimento all’autorità procedente.
La prassi, tuttavia, non riconosce al difensore un vero e proprio diritto al differimento; spetterà  infatti al giudice valutare se il differimento è necessario, valutando comparativamente l’interesse ad differimento con quello alla tutela giurisdizionale e, soprattutto, valutando la possibilità di nominare un sostituto.
La legge garantisce ai non abbienti il gratuito patrocinio, ponendo a carico dello Stato le relative spese legali. L’ammissione al gratuito patrocinio è decisa dal giudice procedente (il giudice per le indagini preliminari nella fase delle indagini) e comporta il pagamento delle spese e degli onorari del difensore sia posto a carico dello Stato in base al provvedimento giurisdizionale di liquidazione, adottato in modo tale da non superare I valori delle tariffe professionali.