L’esecutività è l’idoneità del provvedimento ad essere attuato coattivamente, ossia contro la volontà della persona interessata. Ogni provvedimento emanato dal giudice ha la caratteristica dell’esecutività: ai sensi dell’art. 131, infatti, il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, può chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede (principio dell’immediata esecutività).

A tale principio, tuttavia, il codice pone un’importante deroga. Ai sensi dell’art. 650 co. 1, non sono immediatamente esecutive le sentenze rese in giudicato quando sono ancora soggette ad impugnazione. Sono quindi esecutive soltanto le sentenze irrevocabili ex art. 648.

A questo punto il codice introduce una precisazione ed un’eccezione:

  • la precisazione è che le sentenze di non luogo a procedere hanno forza esecutiva quando non sono più soggette ad impugnazione (art. 650 co. 2). Tale precisazione si rende necessaria soltanto per un motivo nominale: dal momento che l’art. 434 disciplina l’istituto della revoca delle sentenze di non luogo a procedere, infatti, il codice non potrebbe parlare di irrevocabilità. Dal punto di vista dell’esecutività, tuttavia, in relazione a tali sentenze vale la stessa disciplina prevista per le sentenze pronunciate in giudizio;
  • l’eccezione (art. 300) riguarda le sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento, le quali comportano l’immediata perdita di efficacia delle misure cautelari personali che eventualmente siano state disposte per il medesimo fatto dal quale l’imputato è scagionato.
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