Il codice regolamenta sia l’aspetto procedimentale attraverso il quale il giudice delibera, sia la struttura che deve avere la decisione. Per quanto concerne l’aspetto procedimentale, la sottofase degli atti successivi al dibattimento:

  • inizia quando l’organo giudicante si ritira per deliberare in segreto nella camera di consiglio;
  • termina nel momento in cui la sentenza viene depositata in cancelleria.

Ai sensi dell’art. 525 co. 2, alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento (principio di immediatezza).

Circa i tempi, il codice pone la regola della concentrazione: la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento (co. 1) e la deliberazione non può essere sospesa se non in caso di assoluta impossibilità (co. 2).

Il codice, ispirandosi al rigore logico delle priorità da decidere (art. 527 co. 1), regola in modo minuzioso la procedura attraverso la quale il giudice deve deliberare:

  • sono affrontate le questioni processuali, che potrebbero sfociare in decisioni che precludono l’esame nel merito. Si tratta delle questioni preliminari che non siano state ancora risolte o di ogni altra questione relativa al processo;
  • qualora l’esame del merito non risulti precluso, sono affrontate le questioni di fatto che concernono l’imputazione: il giudice valuta se i fatti affermati sono dimostrati dalle prove acquisite;
  • sono affrontate le questioni di diritto, ossia i problemi interpretativi posti dalle norme penali;
  • se il giudice accerta la responsabilità dell’imputato e decide di condannarlo, sono poste in discussione le questioni relative all’applicazione delle pene e delle misure di sicurezza.

Se vi è stata costituzione di parte civile, viene esaminata la richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato.

Il codice, tendendo a garantire la libertà morale dei componenti del collegio, regola le modalità con cui l’organo collegiale deve deliberare (co. 2):

  • i giudici sono tenuti ad enunciare le ragioni della loro opinione perché all’interno del collegio giudicante vi sia una dialettica e non un mero scontro di posizioni preconcette;
  • i giudici votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre poiché il convincimento può mutare in relazione all’esito del dibattito interno;
  • il presidente per ridurre al minimo l’influenza dovuta all’anzianità o alla carica, raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo . Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età.

Altre norme impongono il rispetto del principio del favor rei (co. 3):

  • in caso di parità di voti prevale la soluzione più favorevole all’imputato ;
  • se nella votazione sull’entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggior gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza . La maggioranza, quindi, si deve necessariamente formare intorno all’opinione che, al suo interno, vuole la pena minore.

La deliberazione si svolge in segreto in camera di consiglio, ossia senza la presenza di altre persone che non siano i giudici. Costoro, peraltro, sono obbligati a mantenere il segreto della deliberazione. Colui che lo viola compie il delitto di rivelazione di segreto di ufficio (art. 326 c.p.).

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