L’azione esecutiva è il necessario completamento della tutela concessa con l’azione di condanna dato che le sentenze di condanna offrono solo la possibilità concreta di ottenere soddisfazione ad es. con la sentenza di condanna l’attore che è creditore di una somma di danaro non ottiene la somma se non traduca in atto il comando giuridico contenuto nella sentenza stessa. A fare ciò provvede l’azione esecutiva. Occorre rilevare che il nostro ordinamento consente tuttavia l’azione esecutiva anche senza il preventivo passaggio attraverso il processo di cognizione richiedendosi solo come presupposto indispensabile un titolo esecutivo il quale ex art. 474 c.p.c. può essere sia di formazione giudiziale sia di formazione stragiudiziale.

Ci si è chiesti quale sia la funzione dei titoli esecutivi. Poiché un diritto di credito in tanto può essere azionato nel processo esecutivo in quanto sia certo la funzione del titolo esecutivo è appunto quella di escludere dal processo di esecuzione tutte le questioni che riguardino l’esistenza e il modo di essere del diritto di credito. Da quanto detto ne deriva che nel processo esecutivo si potrà discutere della regolarità del processo di cognizione o dei singoli atti ma non della sostanza del rapporto fra creditore e debitore. Occorre rilevare che la delineata funzione dei titoli esecutivi di rendere l’azione esecutiva astratta rispetto al diritto di credito non crea problemi quando il titolo sia costituito da una sentenza passata in giudicato dato che le parti hanno avuto la possibilità di far valere tutti i loro diritti e di esercitare tutte le loro difese.

Se invece il titolo sia costituito da una sentenza ancora impugnabile o da un atto di autonomia privata è invece ben possibile che le parti abbiano ancora qualcosa da dire sulla situazione sostanziale quale risulta dal titolo. Tenuto conto di ciò se si tratta di una sentenza ancora impugnabile la legge consente alla parte esecutata di far valere le sue ragioni davanti al giudice dell’impugnazione il quale può disporre con procedura d’urgenza la sospensione dell’esecuzione. Se invece il titolo è costituito da una sentenza passata in giudicato o da un atto dell’autonomia privata la legge consente alla parte esecutata di proporre opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.

Tale opposizione non è che l’atto iniziale di un vero è proprio processo di cognizione e ciò anche se l’istanza venga presentata al giudice dell’esecuzione. La conferma di ciò è data dal fatto che il giudice dell’esecuzione trattiene la causa presso di se solo se sia competente a conoscerla in base ai normali criteri di materia o di valore altrimenti assegna all’opponente un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti all’ufficio giudiziario competente.

I motivi che si possono far valere con l’opposizione coincidono con quelli che si possono far valere in un processo ordinario quando il titolo sia costituito da un atto di autonomia privata o da una sentenza ancora impugnabile mentre si riducono quando il titolo sia costituito da una sentenza passata in giudicato dato che in questo caso si deve trattare di motivi che non erano proponibili prima del passaggio in giudicato come ad es. il pagamento effettuato dal debitore dopo l’emanazione della sentenza. L’opposizione all’esecuzione di regola non sospende il processo esecutivo tranne il caso in cui ricorrano due presupposti e cioè:

1) l’istanza della parte

2) l’esistenza di gravi motivi che vengono valutati dal giudice dell’esecuzione e che di solito si concretano nella rilevante possibilità che l’opposizione sia accolta

Occorre precisare che il processo esecutivo non è preceduto da una fase preliminare diretta all’accertamento della proprietà dell’esecutato sui beni o della titolarità dei diritti espropriati dato che si ci accontenta di solito di indici esteriori come ad es. trovarsi il bene mobile presso il debitore o essere l’immobile intestato al debitore, indici questi che possono anche non corrispondere alla situazione reale. Se in conseguenza di ciò si assoggettano all’esecuzione beni sui quali i terzi vantano dei diritti la legge consente a costoro di fare ricorso ad un’autonoma azione di cognizione che si inserisce nel processo esecutivo e può ricorrendone i presupposti anche sospenderlo. Si tratta della cosiddetta Opposizione di terzo all’esecuzione prevista dall’art 619 c.p.c.

Per concludere va chiarito che se nel corso del processo esecutivo vengano compiuti atti irregolari o invalidi la legge consente agli interessati che possono essere sia il debitore o il creditore e talvolta anche terze persone la possibilità di proporre opposizione agli atti esecutivi ex art 617 e 618 c.p.c. la quale da vita ad un mero incidente nell’ambito del processo esecutivo per cui il giudice competente è quello dell’esecuzione e la procedura è assai semplificata. La relativa sentenza è inappellabile per cui è proponibile solo il ricorso in cassazione o il regolamento di competenza.

Tale opposizione non fa sorgere alcun problema di sospensione del processo esecutivo dato che l’opposizione fa corpo con il processo medesimo ma comporta solo la sospensione del termine di 90 giorni dal pignoramento entro il quale il creditore deve presentare istanza di assegnazione o di vendita. Il legislatore infatti ha ritenuto che i soggetti possano compiere gli atti processuali previsti come se l’opposizione non fosse stata presentata a meno che non ritengano più utile attendere l’esito dell’opposizione.

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