La provvisorietà dei provvedimenti cautelari dovrebbe escluderne l’impugnabilità, in quanto provvedimenti generalmente destinati ad essere superati ed assorbiti dalla successiva pronuncia di merito. Tuttavia, poiché i tempi del giudizio sul merito spesso protraggono in maniera abnorme l’efficacia dei provvedimenti cautelari, il rigore dei principi deve cedere il passo all’esigenza di concedere un più immediato riesame di questi provvedimenti.

Sulla scia di tali considerazioni, il legislatore del 1990 ha introdotto un sistema generalizzato di controllo delle misure cautelari e, con l’art. 669 terdecies c.p.c., ha disciplinato l’istituto del reclamo destinato a consentire l’immediata verifica della legittimità (in rito e/o in merito) e dell’opportunità della concessa cautela, verifica che si concluderà con una pronuncia destinata a sostituirsi integralmente a quella emessa in prima istanza.

La disciplina è stata poi perfezionata e completata con la l. 80/2005. L’art. 669 terdecies c.p.c. prevede la possibilità di assoggettare al reclamo qualunque provvedimento cautelare, sia di accoglimento, che di rigetto.

La competenza a provvedere sul reclamo è demandata al giudice collegiale, con la specificazione che del collegio non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato, pertanto:

a) avverso i provvedimenti cautelari resi dal «giudice singolo del tribunale », il reclamo si propone al collegio del medesimo tribunale.

b) avverso i provvedimenti concessi dalla corte d’appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte d’appello o, in difetto, alla corte d’appello più vicina.

La norma nulla dispone sul giudice competente a conoscere del reclamo se la misura cautelare è stata concessa dal tribunale in composizione collegiale (ad es. in ipotesi di causa di competenza delle sezioni specializzate agrarie); sono state pertanto proposte due soluzioni:

  • ritenere che il reclamo vada proposto alla corte d’appello: soluzione prevalente
  • ritenere che il reclamo vada proposto ad altra sezione dello stesso tribunale o, in difetto, al tribunale più vicino

La l. n. 80/2005 ha, poi, modificato il comma l dell’art. 669 terdecies c.p.c., elevando il termine per proporre reclamo da 10 a 15 giorni e specificandone la decorrenza; suddetto articolo stabilisce che il termine decorre dalla pronuncia in udienza del provvedimento e, se pronunciato fuori udienza, dalla comunicazione dello stesso ad opera della cancelleria o dalla notificazione, se anteriore.

Ai fini dell’utile decorrenza del termine per la proposizione del reclamo, sarà necessaria la trasmissione, ad opera della cancelleria, alle parti del testo integrale del provvedimento; inoltre, nell’ipotesi di inerzia del cancelliere, dovrà riconoscersi piena equipollenza alla notificazione eseguita ad istanza della parte interessata. Infine, nell’ipotesi di provvedimento emesso in contumacia della parte, si deve ritenere che il provvedimento dovrà essere integralmente comunicato, per il tramite dell’ufficiale giudiziario, dalla cancelleria al soggetto destinatario del provvedimento.

I termini per il reclamo, endoprocedimentali al giudizio cautelare, non saranno soggetti alla sospensione feriale dei termini. Generalmente, la dottrina considera il reclamo un mezzo di impugnazione della decisione cautelare.

Il legislatore del 2005 è anche intervenuto in tema di coordinamento tra l’istituto della revoca e modifica e quello del reclamo:

  • per i provvedimenti soggetti alla disciplina tradizionale della strumentalità cautelare, è stabilito che l’istanza per la revoca e la modifica può essere chiesta al giudice istruttore della causa di merito «salvo che sia stato proposto reclamo»;
  • relativamente ai provvedimenti sottoposti alla nuova disciplina della strumentalità attenuata, è stabilito che la richiesta di revoca e modifica può essere rivolta al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare «esaurita l’eventuale fase di reclamo».
  • Invece, «le circostanze ed i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti nel relativo procedimento».

Quindi, una volta proposto il reclamo, il relativo procedimento è l’unica sede nella quale è possibile avanzare, ricorrendone ovviamente i presupposti, eventuali istanze di revoca e modifica. Finché tuttavia il reclamo non è pendente, o se il relativo procedimento si è concluso, è sempre possibile ricorrere al procedimento di revoca e modifica.

La fase di reclamo è introdotta mediante ricorso che non dovrà necessariamente contenere l’indicazione specifica dei motivi di impugnazione, né dovrà contenere nuova procura alle liti essendo sufficiente il richiamo a quella rilasciata per la fase cautelare, da depositarsi nella cancelleria del collegio competente. In dottrina si ritiene che l’instaurazione del contraddittorio abbia luogo attraverso la notifica, da eseguirsi presso il difensore costituito nella fase cautelare, del ricorso e del decreto di fissazione di udienza; non sembrano da escludersi il ricorso a forme di convocazione abbreviate, quali il biglietto di cancelleria, telegramma o il telefax.

Il giudice del reclamo può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. E’ esclusa la rimessione delle parti dinanzi al giudice cautelare: in questo modo viene definitivamente respinta la soluzione, sostenuta da larga parte della giurisprudenza e dottrina, di trapiantare in sede cautelare la disciplina del rinvio al giudice di primo grado.

Il reclamo cautelare assume quindi la fisionomia di un novum judicium, avente natura e struttura sostitutiva del giudizio di prima istanza, potendo il collegio, sussistendone i presupposti, concedere anche la misura cautelare negata dal primo giudice. In quest’ultimo caso i poteri di attuazione del provvedimento spetteranno al giudice del reclamo.

Il provvedimento sul reclamo non è ulteriormente impugnabile neppure con il ricorso straordinario per cassazione, vista la natura non decisoria in senso tecnico del provvedimento conclusivo del relativo procedimento. Tuttavia il provvedimento cautelare emesso in fase di reclamo sarà revocabile, sussistendone i presupposti; al contrario, è ammesso il reclamo nei confronti dei provvedimenti emessi in sede di modifica e revoca.

Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento; tuttavia il presidente del tribunale o della corte investiti del reclamo, quando per motivi sopravvenuti il provvedimento arrechi grave danno, può disporre, previa convocazione delle parti, con ordinanza non impugnabile la sospensione dell’esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione. Non sembra, tuttavia, possa escludersi, ricorrendo ipotesi di estrema urgenza, la possibilità di provvedimento (decreto) inaudita altera parte.

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