il giudizio d’appello può essere definito con un provvedimento a contenuto processuale: sentenza che dichiari l’inammissibilità o l’improcedibilità o la nullità dell’appello o l’estinzione del conseguente procedimento. Al di fuori di queste ipotesi la sentenza d’appello sostituisce quella di primo grado confermandola o riformandola in tutto o in parte; la riforma parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata. Il giudice d’appello deve infatti limitarsi ad annullare la sentenza e a rimettere la causa al giudice di primo grado in alcune ipotesi ritenute tassative e cioè quando:

  • dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, negata dal primo giudice
  • dichiara nulla la notificazione della citazione introduttiva del processo di primo grado non sanata mediante la rinnovazione della notifica o la costituzione del convenuto
  • riconosce che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio con la chiamata di un litisconsorte necessario
  • riconosce che sempre in quel giudizio non doveva essere estromessa una parte
  • dichiara nulla la sentenza di primo grado perché priva della sottoscrizione del giudice
  • riforma la pronuncia di estinzione del processo emessa in primo grado

La rinnovazione del processo dinanzi al primo giudice non potrebbe essere sostituita in questi casi neppure dall’applicazione in appello del rito previsto per il primo grado. In tutti i casi di rimessione della causa al primo giudice le parti debbono riassumere il processo davanti a questi nel termine perentorio di 6 mesi dalla notificazione della sentenza: termine interrotto se contro la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione. Se il giudice d’appello dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado ne ordina la rinnovazione e trattiene e decide poi la causa si intende nei limiti segnati dall’impugnazione.

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