L’art. 35 c.p.c. afferma che “il giudice, se è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione sull’eccezione di compensazione, oppure può rimettere l’intera causa al giudice superiore”.
La seconda parte di questa norma è stata abrogata, poiché dagli ultimi due commi dell’art. 40 c.p.c. sulla connessione si deduce il principio secondo cui la competenza del giudice di pace cede sempre rispetto la competenza del tribunale quando due domande sono connesse, per i motivi di cui agli art. 31, 32, 34, 35, 36 c.p.c., e siano una di competenza del tribunale e una di competenza del giudice di pace.
L’eccezione di compensazione è una eccezione in senso stretto, non può essere rilevata d’ufficio (art. 1242 cc.).
L’art. 35 c.p.c. prevede l’ipotesi che la questione pregiudiziale (pregiudizialità per incompatibilità) relativa all’eccezione di compensazione si trasformi ex lege in causa di accertamento incidentale qualora vi sia la contestazione del controcredito.
Di regola l’eccezione non amplia mai la materia del contendere, nemmeno se vengono opposti dei diritti sostanziali in via di eccezione (non si deve decidere mai con efficacia di giudicato). Noi deduciamo la necessità di decidere con efficacia di giudicato sul controcredito contestato dal fatto che sorge una questione di competenza (la legge afferma “che è contestato ed eccede la competenza del giudice adito”). Quella questione pregiudiziale non è più decisa con efficacia incidenter tantum, ma con efficacia di giudicato. Se sorge una questione di competenza è perché quella questione pregiudiziale si è trasformata in causa di accertamento giudiziale (la questione di competenza si pone perché è necessario decidere con efficacia di giudicato).
Non deve sorprendere che possano essere fatti valere dei diritti sostanziali in via di eccezione, e che questi vengano decisi con efficacia incidenter tantum.
Esempio: Tizio è proprietario di un appartamento. Stipula con Caio un contratto di compravendita e gli cede l’appartamento. Caio si ritrova però con l’immobile occupato da Sempronio ed agisce per il rilascio dell’immobile rivendicando la proprietà. Sempronio può eccepire il fatto di essere conduttore in base ad un contratto di locazione stipulato con Tizio (il nuovo proprietario subentra nel contratto in luogo del locatore). Eccepisce quindi un diritto sostanziale (il rapporto di locazione). Il giudice deve decidere se esiste o meno quella situazione sostanziale eccepita, ma non la decide con efficacia di cosa giudicata. Decide con efficacia di giudicato solo sul diritto del rilascio dell’immobile.
Si dice che l’eccezione non amplia la materia del contendere, ma amplia l’ambito della cognizione del giudice (nel senso che il giudice deve conoscere sulla questione dedotta in eccezione, ma non deve deciderla con efficacia di cosa giudicata).
Quando viene opposto un controcredito in contestazione, l’attore non deve necessariamente contestare, non è l’unica difesa che ha contro il controcredito:
– Potrebbe proporre a sua volta delle eccezioni, visto che queste spettano anche all’attore per paralizzare l’efficacia delle eccezioni del convenuto (es. potrebbe dire che il debitore gli ha rimesso il controcredito);
– Potrebbe eccepire la tardività dell’eccezione del convenuto.
Noi adesso abbiamo un processo caratterizzato da un sistema di preclusioni (non era così prima del ’95 quando è entrata in vigore la L. 353/’90, poi questo sistema si è irrigidito ulteriormente con la L. 80/’05). Il convenuto deve proporre le eccezioni, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata (almeno 20 giorni prima della prima udienza). L’attore potrebbe proporre un eccezione processuale eccependo la decadenza del convenuto dal potere di eccepire il controcredito.
– Potrebbe contestare i presupposti della compensazione legale. L’art. 1243 cc. afferma che la compensazione opera, relativamente ai debiti che hanno per oggetto somme di denaro e quantità di cose fungibili dello stesso genere, in relazione a debiti liquidi ed esigibili. Questo tipo di eccezione non implica contestazione.
Uno dei problemi che si pone con l’art. 35 c.p.c. riguarda il suo ambito di applicazione. Esistono tre tipi di compensazione:
– Legale;
– Giudiziale;
– Volontaria.
Sicuramente l’art. 35 c.p.c. opera nel caso di compensazione legale, sicuramente non opera nel caso della compensazione volontaria.
Il problema è controverso nel caso della compensazione giudiziale. L’art. 1243.2 cc. afferma che il giudice, se è agevole la liquidazione, può dichiarare la compensazione per la parte del controcredito che ritiene liquido, ma può anche sospendere la condanna per il credito principale fino all’accertamento del credito posto in compensazione. Questo potere di sospendere il processo non è previsto dall’art. 35 c.p.c., pertanto è preferibile l’opinione che nega che l’art. 35 c.p.c. possa operare nell’ipotesi di compensazione giudiziale.
Bisogna stabilire cosa accade nel caso di mancata contestazione del credito.
– In Germania è previsto che quando viene eccepito un controcredito questo debba essere sempre accertato con efficacia di giudicato fino al limite necessario per la compensazione.
Esempio: se il credito è di 1000 e viene eccepito un controcredito di 500 non sorgono problemi (deve essere accertato con efficacia di giudicato per 500).
Se il controcredito è pari al credito, anche qui il controcredito viene accertato interamente con efficacia di giudicato.
Se il controcredito è di 1500 e il credito è di 1000, vi è l’accertamento con efficacia di giudicato solo per 1000 (i restanti 500 non vengono accertati con efficacia di giudicato).
La conseguenza è che in un successivo processo, colui che era stato il debitore convenuto nel primo processo (il titolare del controcredito di 1500), potrebbe far valere quel credito residuo nei confronti di chi era stato l’attore nel primo processo, ma il giudice non è vincolato a ritenere esistente la parte residua (potrebbe anche decidere che quel controcredito non esisteva);
– Anche in Italia si è sostenuta la necessità di interpretare l’art. 35 c.p.c. nello stesso modo;
– Anche la soluzione contraria, che invece è quella nettamente prevalente in Italia, ha dei problemi. Il rischio è che se il giudice ritiene che esista il credito e che esista il controcredito, rigetti la domanda dell’attore.
Esempio: se il credito ha lo stesso ammontare del controcredito, il giudice rigetta totalmente la domanda dell’attore pertanto il controcredito non viene accertato con efficacia di cosa giudicata, quindi in astratto è possibile che il convenuto lo faccia valere nei confronti dell’attore.
Questa possibilità (che il convenuto faccia valere il controcredito nei confronti dell’attore) non è una cosa eccezionale nel nostro ordinamento perché il diritto sostanziale può essere fatto valere in via di eccezione e non per questo si ha l’accertamento con efficacia di giudicato.
Il rischio è che alla fine si abbia un contrasto logico fra giudicati: il primo processo pronuncia su una situazione sostanziale (il credito fatto valere dall’attore), il secondo su una situazione sostanziale diversa (il controcredito fatto valere dal convenuto).
Questa non è una conseguenza necessitata, le parti possono evitarla. Il giudice prima di pronunciare sul controcredito deve verificare l’esistenza del diritto di credito fatto valere dall’attore. Se non esiste il credito principale, il giudice non pronuncerà nemmeno sull’eccezione del convenuto, la dichiarerà assorbita. L’attore potrebbe proporre una domanda di accertamento negativo nei confronti del controcredito dopo che questo è stato eccepito (anziché contestarlo), e pertanto ha la possibilità di ottenere l’accertamento con efficacia di giudicato sul controcredito. Allo stesso modo il convenuto, a prescindere dal comportamento dell’attore, può proporre una domanda riconvenzionale contro l’attore (art. 36 c.p.c.) chiedendo l’accertamento con efficacia di giudicato del controcredito.
Principio della domanda:
– Il processo inizia a seguito dell’iniziativa di una delle parti;
– L’oggetto del processo deve essere determinato dalle parti, non dal giudice (ci sono delle ipotesi eccezionali in cui ciò avviene).
Vi sono due orientamenti restrittivi della giurisprudenza:
– L’accertamento incidentale e la disciplina dell’art. 35 c.p.c. trova applicazione solamente se il controcredito è maggiore del credito, non invece se il controcredito è minore del credito. Non basta la mera contestazione, secondo questo orientamento, a trasformare la contestazione pregiudiziale relativa al controcredito in causa di accertamento incidentale sul controcredito, è necessario anche che il controcredito sia maggiore del credito.
Dall’art. 35 c.p.c. non si desume affatto questo;
– La contestazione di un credito determina sempre la sua illiquidità, trasforma un credito liquido in illiquido, a meno che la contestazione non sia manifestamente pretestuosa. Questo orientamento applicato all’art. 35 c.p.c. fa si che la contestazione, salva l’ipotesi della manifesta pretestuosità, faccia venir meno il requisito della liquidità del controcredito e quindi venga meno uno dei presupposti stabiliti dal 1243 cc. per la compensazione legale, con la conseguenza che l’art. 35 c.p.c. potrebbe operare solo nel caso di manifesta pretestuosità della contestazione.
La seconda parte dell’art. 35 c.p.c. prevedeva che se il controcredito eccedeva la competenza per valore del giudice adito, questi aveva una possibilità discrezionale:
– Se la domanda relativa al credito principale era fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile (es. ipotesi in cui si poteva accertare tramite documenti), il giudice poteva decidere immediatamente sul credito principale e rimettere le parti al giudice superiore per la decisione relativa all’eccezione di compensazione;
Vi erano due opinioni su come dovesse avvenire il coordinamento:
- La prima configurava la condanna con riserva come sentenza condizionata risolutivamente, l’evento posto in condizione era l’accoglimento dell’eccezione da parte del giudice superiore. Era questa l’opinione prevalente;
- L’altra opinione ricorreva all’istituto della sentenza complessa. Il contenuto della decisione lo si doveva ricavare dal materiale di entrambe le sentenze.
Se la domanda non era fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile doveva rimettere tutta la causa al giudice superiore (sia la decisione sul credito, sia la decisione sul controcredito). Era questa l’ipotesi tipica di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto. La condanna con riserva prevede che venga emessa una sentenza di condanna riservando la decisione relativa all’eccezione del convenuto al prosieguo del processo. Qui la condanna sulle eccezioni era pronunciata dal giudice superiore come competenza per valore.