L’omissione consiste nel non compiere l’azione possibile che il soggetto ha il dovere giuridico di compiere. Nel diritto penale moderno, la progressiva espansione dei reati omissivi ha sospinto ad una revisione della teoria del reato che, tradizionalmente incentrata sul reato commissivo, attualmente riserva al reato omissivo una particolare attenzione.

Il problema politico-criminale del reato omissivo consiste nell’ardua individuazione di un punto di equilibrio tra le due opposte esigenze espresse:

  • dal principio di eccezionalità dei reati omissivi, stante la loro maggiore interferenza nella sfera della libertà individuale rispetto ai reati commissivi, richiedendo i primi un non facere e i secondi un facere.
  • dal principio di solidarietà, che impone agli individui di tenere comportamenti attivi per il soddisfacimento di altrui esigenze solidaristiche.

Viene tuttavia a porsi in essere un interrogativo inquietante, poiché un diritto penale di comandi rischia di trasformare il diritto penale da strumento di tutela di beni giuridici a strumento di governo della società.

Circa la sua essenza, l’omissione è un non facere, da cui il problema della sua conciliazione coi principi di materialità e di offensività. Essa, quindi, non può consistere:

  • né in un nihil facere, perché non si distinguerebbe dalla mera inerzia.
  • né di un aliud facere, ovvero nel compiere un’azione positiva.

Attualmente, quindi, si concorda nel riconoscere all’omissione un’essenza non naturalistica, bensì normativa, consistendo essa nel non compiere l’azione possibile, che il soggetto ha il dovere giuridico di compiere. La doverosità dell’agire, infatti, converte l’inerzia in omissione. Sono giuridicamente rilevanti, tuttavia, solo le omissioni consistenti nell’inosservanza di un dovere giuridico (non morale) di non fare

Il reato omissivo viene meno nei casi:

  • di impossibilità concreta di adempiere il dovere di fare, trovando questo il proprio limite logico nell’impossibilità materiale di essere adempiuto.
  • di insuccesso dell’azione idonea, tenuta dal soggetto, se l’insuccesso è dovuto a circostanze esterne.

Fondamentale, per la diversità di struttura e di problematiche, è la bipartizione tra:

  • reati omissivi propri (mancato compimento dell’azione comandata), per sussistenza dei quali non occorre il verificarsi di alcun evento materiale. In questo caso la legge attribuisce rilevanza penale a specifiche tipologie di omissione (reati di mera condotta).
  • reati omissivi impropri (mancato adempimento doveroso di un evento materiale), per l’esistenza dei quali occorre il verificarsi di determinato evento. In questo caso la legge attribuisce rilevanza penale non all’omissione come tale, ma al non impedimento dell’evento (reati di evento).

Tali reati, comunque, possono:

  • essere previsti da norme di parte speciale (minoranza).
  • risultare dalla combinazione della clausola generale dell’art. 40 co. 2 con la norma di Parte speciale, configurante un reato commissivo (maggioranza). Rispetto a tali reati si pone il problema, ex art. 40 co. 2, dell’equiparazione del non impedire al causare .

Il problema dei reati omissivi, più che di legittimità costituzionale, è di limiti di conciliabilità coi principi costituzionali. Circa il fondamento costituzionale, infatti, essi si fondano sul principio di solidarietà, che, accanto al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, richiede anche l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.).

Circa i limiti, invece, i reati omissivi sono conciliabili:

  • col principio di libertà, dato che un diritto penale solidaristico non preclude la sanzionabilità dell’adempimento degli obblighi fondamentali di solidarietà umana.
  • col principio della responsabilità penale personale, mediante la previa distinzione degli obblighi di garanzia dai meri obblighi di attivarsi o di sorveglianza.
  • col principio di materialità-offensività, mediante il recupero dei reati omissivi a tale principio non in termini naturalistici, improponibili, ma normativi, restando essi non inconciliabili col principio di offensività nei limiti in cui non ne violino la ratio garantista.
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