Vistoso rovesciamento di prospettiva rispetto agli orientamenti considerati precedentemente: non si dà per scontata la conformità sociale, al contrario l’interrogativo principale riguarda proprio il perché la maggior parte degli individui si astenga dal commettere fatti criminosi. Ci si trova di fronte a teorie della conformità sociale: esse si attendono la realizzazione del crimine tutte le volte in cui siano presenti condizioni nelle quali il controllo sociale perde la sua efficacia.
La consapevolezza di come ogni concezione del crimine presupponga una concezione della natura umana spinge gli stessi teorici del controllo a rinvenire in un vasto retroterra filosofico-culturale le radici del loro pensiero. Ci si richiama così alle prospettive accomunate dall’idea di un’intrinseca antisocialità degli individui, di una tendenza naturale dell’uomo a perseguire il piacere e a rifuggire il dolore con qualsiasi mezzo a disposizione. Le stesse condizioni che attribuiscono alla pena una finalità di coazione psicologica di intimidazione esprimono una visione assai pessimistica dei comportamenti sociali che si pensa di imbrigliare facendo leva sul basso sentimento della paura.
Travis Hirschi → la teoria del controllo assume una marcata intonazione sociologica visto che essa tende a ridimensionare il ruolo svolto dall’interiorizzazione delle regole e delle aspettative sociali nel trattenere dalla commissione del crimine. Il rispetto della legge, la conformità, vengono dunque visti in funzione dell’operare di una serie di legami che avvincono gli individui alla società e che trovano origine nella scuola e nella famiglia.
Sul tema “famiglia” le teorie del controllo manifestano in generale un profilo ben distinto rispetto alle prospettive emerse fin dagli anni trenta che tendono a ridimensionare un tale ruolo in base al rilievo che le moderne trasformazioni economico-sociali avrebbero fortemente ridotto l’influenza dell’istituzione famigliare sulla formazione degli individui rispetto a quella esercitata da altre entità sociali.
In particolare, sulla famiglia, Ivan Nye evidenzia 4 fattori di controllo sociale:
- controlli interiorizzati: norme che il bambino assimila nella coscienza, indotte dai sensi di colpa e dalle punizioni dei genitori
- controlli indiretti: desiderio di identificazione con i genitori
- controlli diretti: disciplina familiare
- mezzi alternativi di soddisfacimento dei bisogni: capacità dei genitori di prospettare ai figli modalità di conseguimento del successo
Di particolare rilievo risulta poi l’interazione di tali controlli familiari con la struttura sociale. Il problema dell’influenza della famiglia nella prevenzione del crimine giovanile ricorre puntualmente nella discussione pubblica. Correlativamente il crimine tenderà a manifestarsi allorché tali legami sociali si siano indeboliti o spezzati scaturendo dunque da un difetto di socializzazione ossia dal fallimento di quel processo che dovrebbe portare gli individui a fare propri i valori socialmente condivisi.
La classificazione dei diversi legami in senso sociologico individua:
- l’attaccamento: dipendenza del bambino dalle opinioni e dai sentimenti di figure chiave come genitori, insegnanti, amici. Secondo Hirschi l’influenza dei gruppi coetanei verrebbe annullato dall’attaccamento alla famiglia
- l’impegno: componente razionale della conformità, sottolinea l’investimento compiuto nelle attività convenzionali → la prospettiva di dedicarsi a condotte criminali comporta il rischio di perdere un tale investimento. L’investimento nella conformità è destinato a vincolare ancor più il soggetto all’osservanza delle regole sociali
- il coinvolgimento: legame che esercita una sorta di azione antagonista rispetto al sorgere di opportunità criminali. Esso designa l’equivalente comportamentale dell’impegno ossia la condizione nella quale il soggetto si trova occupato in determinate attività lecite che hanno l’effetto di distoglierlo dal commettere crimini anche solo perché questi ultimi richiedono tempo per essere perpetrati. Si richiama l’idea che la scuola possa sottrarre i giovani alla strada e dunque alle occasioni criminali
- la fede o credenza: per dedicarsi alla devianza non è necessario credervi ma è richiesto il non credere in quei valori che sono antitetici. Quanto meno intensamente ci si senta vincolati all’osservanza delle regole sociali tanto maggiore sarà la probabilità di porvisi in contrasto. La fede dipende dall’operare di sforzi sociali tra i quali soprattutto il peso dell’attaccamento → rapporto di dipendenza tra i due legami, concatenazione causale.
L’interazione di queste 4 variabili produrrà l’effetto di trattenere il soggetto dalla commissione di crimini e anche nella situazione in cui venga meno la tenuta dei suddetti legami la decisione di dedicarsi al crimine non sarà esito automatico. L’individuo comincerà a prospettarsela come possibilità e la realizzazione di condotte devianti finirà per dipendere da una sua libera scelta. A questo punto il comportamento criminoso potrà essere influenzato dal fattore opportunità.
Proprio questa considerazione ha indotto qualche critico a rimarcare l’insufficienza della teoria laddove essa di mostrerebbe incapace di dare conto delle motivazioni che saltato il coperchio dei legami sociali spingerebbero poi effettivamente il singolo a realizzare comportamenti criminali. Gli stessi teorici del controllo sono stati comunque i primi a riconoscere apertamente i limiti della loro prospettiva nell’offrire una spiegazione esauriente del comportamento criminale.
Una quantità impressionante di studi recenti ha del resto rinvenuto numerose conferme agli assunti della teoria del controllo e alla importanza dell’attaccamento a famiglia e scuola come basi di formazione dei legami sociali e come fattore di riduzione del rischio criminale. Antitetica rispetto a molte delle teorie classiste o sottoculturali è in Hirschi ad esempio l’idea secondo cui valori di base della delinquenza non sono localizzabili in una specifica classe o segmento della società americana. Quando le variabili delle associazioni differenziali sono mantenute costanti quelle rappresentate dal controllo esercitato dai genitori.. contribuiscono abitualmente a diminuire la commissione dei reati.
Non sono mancati critici che hanno rivendicato il ruolo della classe sociale di appartenenza proprio per favorire od ostacolare lo stabilirsi dei legami di controllo. Altri commentatori hanno sottolineato come il mero attaccamento alla famiglia non sia sufficiente per trattenere dalla delinquenza. Si è altresì sottolineata l’insufficienza della teoria del controllo per spiegare le carriere criminali e la devianza secondaria. Si è obiettato come in realtà l’acquisizione o il rigetto delle regole convenzionali sia un processo che spesso prescinde dal legame con gruppi primari o soggetti istituzionali dipendendo piuttosto dall’adesione a norme o valori alternativi.
Hirschi ha dato prova di mettere a frutto le potenzialità e flessibilità della sua teoria rendendosi artefice di un modello esplicativo che può anche esserne considerato un ulteriore sviluppo.
Hirschi e Michael Gottfredson → teoria dell’autocontrollo, in cui è avvertibile una netta rivitalizzazione dei fattori individuali di spiegazione del crimine a sua volta inquadrabile in una più generale evoluzione in tal senso espressa dalla criminologia a partire dagli anni ottanta. Il controllo si configurerebbe come uno stato soggettivo e ciò sulla base di una asserita riscoperta della natura della criminalità a opera delle più recenti ricerche empiriche. È interessante rilevare innanzitutto come la teoria dell’autocontrollo definisca i suoi rapporti con la criminologia classica e quella positivista.
Nella prima si identificano le basi delle odierne teorie del controllo sociale, laddove essa tende ad accentuare l’influenza, sulle condotte individuali, delle sanzioni legali e soprattutto morali. Tendenza del pensiero positivista è invece quella di identificare differenze più radicali tra criminali e altri individui. La collocazione dell’individuo nella società e dunque l’operare nei suoi confronti di controlli sociali o esterni. C’è però un elemento differenziale tale da rendere il soggetto immune dal crimine a prescindere dalle circostanze in cui venga a trovarsi: l’autocontrollo da cui viene fatta dipendere la diversa vulnerabilità alle tentazioni del momento.
La teoria dell’autocontrollo si presenta allora come una combinazione delle due prospettive, classica e positivista, ossia come il riconoscimento dell’esistenza simultanea di vincoli sociali e individuali al comportamento. È peraltro ai vincoli sociali che essa finisce per conferire una certa prevalenza. Al centro della teoria si pone l’analisi degli elementi dell’autocontrollo e soprattutto la delucidazione delle origini della difettosa capacità dell’individuo di controllarsi.
I soggetti con bassi livelli di autocontrollo manifestano la tendenza a rispondere in modo immediato agli stimoli dell’ambiente, secondo un atteggiamento basato sul qui e subito. Le cause del difettoso autocontrollo vengono soprattutto identificate in un’inadeguata socializzazione del bambino da parte della famiglia e da parte della scuola. Si tratta dunque di cause negative nel senso che una tale condizione è destinata a prodursi in assenza di sforzi intenzionali o non intenzionali, diretti a creare autocontrollo come accade ad esempio quando sia la stessa famiglia a segnare un deficit di questa qualità.
È evidente come una simile prospettiva finisca per fortemente ridimensionare altri fattori di prevenzione del crimine, riflettendosi in una visione politico-criminale che relega a un ruolo marginale l’intero apparato della giustizia e statuale. Anche a questa versione più recente delle teorie di controllo viene accreditato un ampio bagaglio di conferme empiriche che avrebbero in particolare avvalorato l’ipotizzata correlazione tra bassi livelli di autocontrollo e comportamento criminale. In essa peraltro possono identificarsi vari limiti di approfondimento e alcune contraddizioni.
Così anche a questo suo più recente sviluppo è stata mossa l’obiezione di trascurare la categoria dei colletti bianchi, i quali si dedicano ampiamente a gravi attività criminali pur dando prova di una notevole capacità di autocontrollarsi e di differire nel tempo le loro gratificazioni di status e benessere economico. Alla teoria viene imputata l’irrisolta contraddizione di avere minimizzato la correlazione tra crimine e classe sociale, presentando però al contempo una serie di tratti caratteristici del reo destinati inesorabilmente a sospingerlo tra i falliti socialmente.
Ancor più cruciale è l’obiezione alla teoria secondo cui il ruolo da essa conferito all’educazione nei primi anni di vita tende a trascurare l’efficacia che l’instaurarsi di legami sociali nell’età adulta può avere nella riacquisizione dell’abitudine a comportamenti conformi. Il deficit di autocontrollo risulta poi eccessivamente isolato da quel contesto socio-culturale rispetto al quale la capacità della famiglia di trasmettere valori non può davvero essere considerata variabile indipendente.
Non necessariamente comunque una criminologia umana sarebbe indotta a smentire la rilevanza del fattore autocontrollo. Essa dovrebbe porsi però anche interrogativi di più largo raggio e scandagliare le condizioni che di tale condizione favoriscono l’indebolimento a cominciare dalla paura della povertà e dalla indigenza. Una paura che tenderà a ridursi di pari passo con lo stabilirsi di condizioni individuali e sociali interne ed esterne, che aiutano il singolo a sentirsi libero e a percepirsi come un essere razionale. Certamente fondamentale tra tali condizioni è la stessa integrità e vigenza del complessivo sistema di controllo sociale.
Walter C. Reckless → elabora la teoria del contenimento, anteriore alla nascita delle altre prospettive esaminate in questo paragrafo e che offre una ideale chiusura del cerchio sui principali orientamenti del pensiero criminologico. Questa teoria costituisce del resto un interessante tentativo di conciliazione entro un unitario contesto esplicativo del rilievo attribuito ai fattori sia individuali, sia sociali, sia psicologici, sia sociologici.
L’interesse da cui muove la teoria del contenimento è soprattutto legato alla constatazione della diversità di risposta dagli individui alle medesime situazioni sociali. L’attenzione viene quindi rivolta all’individuazione dei fattori per effetto dei quali tra soggetti ugualmente calati in condizioni caratterizzate da un elevato rischio criminale ve ne sono alcuni che si uniscono alla criminalità organizzata e altri ben più numerosi che seguitano a mantenersi entro l’alveo della legalità.
È dallo studio di questi sistemi immunitari che la curiosità scientifica si aspetta di poter scoprire quali siano gli anticorpi capaci di difendere dall’attacco di antigeni criminali e di trarre la ricetta di qualche vaccino che possa servire da profilassi contro la diffusione della malattia. Più che di una genuina teoria causale si è qui in presenza di una teoria del rischio criminale. L’obiettivo delle teorie di controllo non è tanto spiegare il crimine quanto identificare i farmaci antagonisti rispetto alle forze che sospingono o attirano verso di esso.
Il prodursi della criminalità viene infatti attribuito all’indebolimento dei fattori che normalmente valgono a isolare l’individuo dalle spinte interne e dalle attrattive esterne che essa esercita trattenendolo entro l’alveo della conformità sociale. Le strutture di rinforzo in grado di realizzare un tale contenimento vengono quindi distinte in esterne e interne.
La puntualizzazione dei fattori di contenimento esterno perfezionata da Rackless nelle opere più tarde sembra riprodurre il dualismo durkheimiano di regolamentazione e integrazione. Nelle moderne società industriali urbanizzate il contenimento viene viso come l’effetto sia di limiti normativi posti alle condotte individuali, sia della capacità di prospettare ruoli e attività significative e dell’operare di diverse variabili complementari quali i rinforzi di gruppo e la creazione di un senso di appartenenza e identità.
Ogni entità sociale tenderà a caratterizzarsi per la diversa efficacia dei propri mezzi contenitivi ossia per una specifica capacità di prospettare agli individui che la compongono significativi ruoli sociali, modi e mezzi alternativi per il conseguimento delle mete sociali. Il contenimento interno rappresenta invece la capacità dell’individuo di orientare la propria condotta indipendentemente dal livello del contenimento esterno. Tra i fattori principali destinati a influenzare una tale capacità si identifica
- l’autostima
- le aspirazioni sincronizzate con mete socialmente approvate e realisticamente conseguibili
- la resistenza alla frustrazione
- aderenza alle norme
A dispetto della dualità contrappuntistica di contenitori esterni e interni l’interesse di Reckless è soprattutto concentrato su questi ultimi e dunque sui sistemi immunitari capaci di difendere l’individuo calato nelle più mefitiche situazioni palustri.
La minore probabilità di realizzazione di comportamenti criminali si riscontrerà laddove l’individuo risulti fortemente contenuto sia esternamente che internamente. Più realistiche appaiono le situazioni seguenti in cui almeno uno dei due contenitori sia indebolito.
L’identificazione nella situazione opposta di un più rilevante rischio criminale rispecchia l’idea fondamentale della teoria, orientata a conferire rilievo preminente ai fattori interni quali l’autostima, il corretto orientamento delle aspirazioni… benché alle tesi di Reckless non siano mancate varie conferme empiriche la critica ne ha frequentemente messo in luce le debolezze metodologiche rilevandone l’inadeguatezza rispetto a un modello che presuppone la riconducibilità degli enunciati teorici a una serie di proposizioni interconnesse da cui sia possibile derivare ipotesi di ricerca.
Se ne sono altresì censurati i limiti sul piano della definizione dei concetti per cui risulta difficile verificare rigorosamente se e quanto un forte controllo interno sia davvero in grado di trattenere un individuo dalla realizzazione di comportamenti criminosi. Tra i meriti della teoria di contenimento resta fermo innanzi tutto l’accentuazione della duplicità di piani su cui occorre operare per un efficace controllo del fenomeno criminale. La teoria del contenimento è apparsa infine un modello esplicativo utile a orientare le politiche di prevenzione e lo stesso trattamento del condannato.