Sentenze accoglimento: esse non creano problemi di fonti normative, in quanto la corte espunge una norma dall’ordinamento. La disciplina positiva è tutta nel senso di attribuire autorità erga omnes solo a questo tipo di sentenze. Gallo non è d’accordo, perché si chiede come possa esplicarsi la funzione di interpretazione autentica in una sentenza che dichiara l’incostituzionalità di una legge: egli ritiene al massimo che si possa dare interpretazione autentica dell’ordinamento.

Sentenze di rigetto: esse anche non creano problemi, lasciando inalterata la situazione normativa. Si discute però sulle conseguenze che la loro pronuncia determina sul procedimento che ha dato occasione alla pronuncia della corte e su procedimenti diversi e futuri.

Tre tesi avanzate su queste pronuncie:

a) essa riconosce a tali decisioni autorità erga omnes (diventano in pratica interpretazioni autentiche convalidative della legge impugnata.

b) essa ritiene applicabili alle pronuncie di rigetto le regole che delimitano obbiettivamente l’efficacia della “cosa giudicata” ma non quelle che delimitano soggettivamente quest’ultima: si parte per questa tesi dal fatto che la giurisdizione di Corte Costituzionale è di diritto oggettivo e non di diritto soggettivo.

c) essa dice che le decisioni contrarie al ricorso esercitano la loro autorità solo tra le parti in causa ed eventualmente verso il giudice della controversia concreta.

Sentenze interpretative di rigetto. Con esse all’accertamento della validità Costituzione si perviene con un lavoro di interpretazione che isola, tra i significati della regola, quello che permette di considerare legittima una disposizione. Per Gallo con a) si fornirebbe la soluzione al problema di questo tipo di sentenze: in questo modo i giudici non potrebbero adottare interpretazioni dichiarate inammissibili da Corte Costituzionale, ma oltre ciò dovrebbero attenersi positivamente all’intepretazione da quest’ultimo attuata. Gallo ha mosso le critiche a questa visione sostenendo che l’organo che decide sulla legittimità delle leggi non è giurisdizionale, bensì paralegislativo. Pur ritenendo egli il problema non importante, sostiene che non ci siano state delle obiezioni davvero risolutive al ruolo legislativo della corte. Egli, ritornando a discorsi non idioti, ritiene che da qualunque premessa di ordine generale si prenda le mosse, si è comunque d’accordo nel ravvisare nelle pronuncie di rigetto un tutt’uno unitario avente rilevanza solo per ciò che concerne l’affermata legittimità costituzionale della legge sottoposta ad esame. È’ stato per Gallo detto giustamente che dato che non esiste un termine entro cui la legge possa esser impugnata per illegittimità in via incidentale, non si può escludere che la stessa legge si possa impugnare per altri processi per vizi di legittimità diversi da quelli per cui era stata impugnata la prima volta. Secondo Gallo mediante questo tipo di sentenze poi, si avrà si un rigetto, ma in realtà l’istanza sarà respinta solo parzialmente, infatti solo uno dei significati (quello che sceglie la Corte Costituzionale) sarà quello che potrà effettivamente essergli dato. Se ci si fermasse ad una considerazione puramente nominalistica, si dovrebbe dire che il giudice ordinario è libero di adottare una interpretazione che sia contrastante con quella in forza di cui la Corte Costituzionale ha ritenuto di poter dichiarare la validità di una legge. Un vincolo che precludesse un’interpretazione di questo tipo non potrebbe nascere né dalla sentenza che respinge il ricorso, né dall’interpretazione data dalla Corte Costituzionale al principio Costituzione rispetto a cui si è instaurato il giudizio di conformità, anche se tale interpretazione si limita a dare il presupposto per la decisione dei giudici Costituzione. Ora da tutto ciò quindi si deduce che la pronuncia della Corte Costituzionale sarebbe lettera morta. Tuttavia per Gallo in queste pronuncie di rigetto, sostanzialmente sono individuabili 2 distinti disposti: il primo è quello per cui adottata una certa interpretazione, si proclama conforme a Costituzione la disposizione in esame(in questo caso la pronuncia sarà atto di interpretazione con efficacia erga omnes, per cui l’interprete non potrà adottare un’interpretazione diversa, il secondo con cui si dichiara inammissibile ogni interpretazione incompatibile col principio che ha presieduto alla dichiarazione di legittimità; qui Gallo considera quelle dottrine che sostengono che non si deve confondere tra proposizione normativa (cioè schema delle possibili interpretazioni attuabili nel sistema) e norma reale (che si attua solo attribuendo un dato contenuto, tra quelli giuridica consentiti, a una proposizione normativa). Da tutto ciò si deduce che il giudice potrà entro certi limiti disattendere le pronunce della corte, ma non potrà adottare un’interpretazione che urti vs il principio costituzionale alla cui stregua si è operata quella interpretazione che ha fatto ritenere la legittimità della disposizione.

Con le sentenze additive si pronuncia la illegittimità di un disposto di legge “in quanto” o “perché” non enuncia uno o più elementi di fattispecie, la cui rilevanza, ad una valutazione di costituzionalità, non potrebbe esser esclusa, aggiungendo quindi al disposto su cui la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi elementi mancanti nel testo(assicurando conformità a Costituzione con questa integrazione). Gallo pone l’accento sulla efficacia di queste decisioni: in pratica la Corte Costituzionale si limita a proporre una nuova norma, invitando il legislatore a porre rimedio a quella che è ritenuta una lacuna in contrasto con regole costituzionali, ma se non interviene la legge a regolare la materia, il principio ex Corte Costituzionale non è applicabile nel nostro ordinamento (la Corte Costituzionale non può ex sen.71/1983 sostituirsi alla legge, la quale da sola può depenalizzare norme, aggiungere elementi fattispecie e così via). La conclusione quindi per Gallo è che in questo caso la Corte Costituzionale non produce diritto, cosa che invece fa quando espunge una norma dall’ordinamento.

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