Negli enti collettivi e nelle imprese non è sempre agevole individuare i soggetti responsabili dei reati commessi nello svolgimento dell’attività facente capo all’ente o impresa. Ciò in quanto spesso il soggetto formalmente titolare degli obblighi di condotta penalmente sanzionati, delega tali predetti obblighi ai propri collaboratori. Bisogna quindi stabilire se e a quali condizioni, la delega possa assumente rilevanza penale.

La giurisprudenza prevalente condiziona la rilevanza penale della delega alla presenza di 4 presupposti:

La ripartizione delle funzioni non deve avere carattere fraudolento;

L’impresa deve essere di grandi dimensioni;

I collaboratori delegati devono essere dotati di mezzi e poteri necessari per svolgere efficacemente i compiti affidati;

I collaboratori delegati devono possedere una provata competenza tecnica.

In presenza di tali presupposti, la giurisprudenza ammette che la delega esoneri da responsabilità penale il soggetto delegante, e la responsabilità di conseguenza si trasferisca la soggetto delegato.

La giurisprudenza considera efficace anche la delega delle funzioni in mancanza del requisito di notevoli dimensioni dell’impresa, facendo leva su una valutazione orientata verso le caratteristiche qualitative dell’organizzazione aziendale: e argomentando dal fatto che il d.lgs. 626 del 1994 in tema di sicurezza sul lavoro, ha implicitamente escluso che le dimensioni aziendali abbiano effetto sul trasferimento delle funzioni.

Questa impostazione è sostanzialmente avallata dalla parte di dottrina che propende per un orientamento c.d. funzionalistico: e cioè per una tesi, secondo la quale l’individuazione del soggetto responsabile deve essere effettuata sulla base della funzione “di fatto” esercitata all’interno dell’ente collettivo, e ciò in omaggio al principio di corrispondenza tra poteri e funzioni da un lato, e obblighi e responsabilità dall’altro. Tale impostazione presenta 2 inconvenienti:

L’assunto che il diritto penale consideri prevalenti le funzioni di fatto svolte rispetto alla titolarità delle qualifiche formali, rischia di configgere col principio di legalità.

Inoltre è possibile che l’imprenditore o il datore di lavoro strumentalizzino la preposizione in fatto di un collaboratore, per liberarsi dalla responsabilità, trasferendola indebitamente su soggetti che occupano, all’interno dell’impresa, una posizione subordinata e perciò, sprovvisti di poteri decisionali.

Altra parte della dottrina ritiene che la delega non liberi il titolare originario da responsabilità, anzi costui manterrebbe un obbligo di vigilanza sull’adempimento delle incombenze delegate dal collaboratore o al preposto. In caso di inadempimento del soggetto delegato, il soggetto delegante continuerebbe a rispondere, eventualmente in concorso, sotto forma di mancato impedimento di reato ex art. 40 cpv, purché l’adempimento dell’obbligo di vigilanza risulti completamente esigibile alla stregua dei criteri che presiedono all’imputazione a titolo di colpa.

Tale tesi però va incontro a un rischio: quello di far “slittare” troppo verso l’alto la responsabilità penale, chiamando a rispondere i titolari originari in base alla posizione o al ruolo astrattamente rivestito, pur in assenza della concreta possibilità di adempimento, con conseguente violazione di principio della responsabilità penale “personale”.

 

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