Qualche autore imbevuto di concezione imperativistica del diritto, davanti all’impossibilità di ravvisare nell’agire colposo un legame psichico con l’evento, è stato indotto a spezzare la colpa in due parti distinte facendone poi scomparire una entro il concetto di dolo, l’altra nel concetto di torto obiettivo. Una formulazione ormai classica nella dottrina italiana ha indotto a dire che quando la lesione non è l’effetto direttamente vietato (esempio: non uccidere) bensì solo l’effetto che si vuole impedire con una norma che ha ogni caratteristica di una norma di polizia (esempio: sii prudente nelle tue azioni), la lesione sarebbe solo una mera condizione di obiettiva di punibilità. Da ciò si è arrivati a ritenere che essendo necessario all’esistenza della colpa che il soggetto abbia consapevolezza “d’agire con imprudenza”, la colpa non esisterebbe come criterio autonomo d’imputazione soggettiva, configurandosi allora la colpa cosciente con il dolo di pericolo: quindi la colpa incosciente non sarebbe colpa, ma responsabilità senza colpa cioè torto oggettivo. Si è reagito a quest’opinione denunciando l’arbitrarietà di una costruzione aprioristica del concetto di colpa in contrasto col sistema legislativo e l’evento cagionato vs l’intenzione non può rappresentare una condizione di punibilità in quando esso è direttamente in relazione da effetto a causa con il comportamento tenuto dal soggetto, mentre la condizione di punibilità suppone un fatto tipico. Ora l’affermazione più saliente della tesi in esame è quella per cui in ogni caso di colpa l’evento sarebbe imputato su basi puramente oggettive. Così è evidente che sparisce ogni possibilità di differenziare ipotesi di colpa da quelle in cui l’evento è posto “altrimenti” a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione-omissione (42 3°). Quel che qui importa porre in luce è come la dottrina sia generalmente convinta che il legame psichico evento- condotta debba esistere. in pratica azione od omissione da cui l’evento deriva sarebbero anche nella colpa sempre sorrette da un coefficiente psichico e ciò può dirsi assolutamente ufficiale: la considerazione unitaria del comportamento doloso e di quello colposo in sede di fattispecie obiettiva avviene sotto il segno di questo coefficiente comune. Ci sono però una serie di casi in cui è messo in crisi questo principio: in parecchi reati colposi sia d’azione che d’omissione manca in rapporto alla condotta tenuta una concreta volizione ma anche ogni altro atteggiamento considerabile psichico. Essi sono i comportamenti colposi di omissione dovuta a dimenticanza e quelli in cui l’azione è costituita da un atto cosiddetto “automatico”. Per capire come si svolga il processo di imputazione di questi comportamenti va fatto un distinguo a seconda che essi siano di azione o di omissione (per quest’ultima il problema dei presupposti soggettivi di imputazione di un’omissione si risolve con riguardo alla natura di inadempimento di una pretesa normativa a contenuto positivo, che deve riconoscersi alla stessa omissione. Ora perché sia configurabile la trasgressione di un obbligo è necessario che il soggetto non abbia agito in modo tale da escludere un contegno conforme alla norma: quindi è necessario che non risulti secondo le valutazioni medie caratteristiche del diritto che in quella certa ipotesi un atto di volontà rivolto all’adempimento della pretesa fosse o impensabile o anche se possibile come mero accadimento interno destinato a non realizzarsi nel mondo esterno. È necessario che il comportamento obiettivo posto in essere non sia dovuto a forza maggiore. L’omissione non potrà allora esser intesa sia materialmente che psichicamente se non riferendosi al dovere che ne costituisce il presupposto. Per ciò che concerne gli atti automatici costitutivi di condotta colposa, essi danno luogo a caratteristica mescolanza di momenti naturalistici e normativi e questa accusa in ultima analisi l’insufficienza di una nozione puramente naturalistica di azione. Si sposta quindi l’accento dal soggettivo all’oggettivo e il giudizio sulla impedibilità dell’atto diventa un tutt’uno con quello che lo qualifica in una certa maniera. Ora quindi l’imputazione di un’omissione dovuta a dimenticanza, o quella di un atto automatico, si fondano unicamente sull’esistenza di un dovere (sempre giuridico nel primo caso, giuridico o extragiuridico ma giuridicamente rilevante nel secondo) prescrivente un’azione diversa da quella realmente posta in essere.

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