Nell’impostazione originaria del codice, le circostanze venivano attribuite in base ad un criterio puramente obiettivo: esse cioè operavano in virtù della loro effettiva presenza, senza che fosse necessario che il soggette se le rappresentasse (art. 59 comma 1° prima) e se il soggetto si rappresentava per errore come esistente una circostanza, questa non veniva valutata né a suo carico né a suo favore.

Con la legge n. 19/1990 intitolata “modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale e destituzione dei pubblici dipendenti”, il legislatore ha modificato il precedente modello oggettivo di imputazione prevedendone uno soggettivo. Il nuovo testo dell’art. 59 comma 2°, stabilisce “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”

  • Per effetto di tale nuovo art., il principio nulla poena sine culpa, è stato esteso anche alle circostanze che aggravano la pena: perché queste possano essere accollate occorre un coefficiente soggettivo, rispettivamente costituito o dalla loro conoscenza o dalla loro colpevole ignoranza.
  • È rimasta inalterata, l’imputazione obiettiva delle circostanze attenuanti, e ciò perché esse incidono in ogni caso favorevolmente sul trattamento punitivo e pertanto, non sollevano problemi di rispetto del principio di colpevolezza.

Interpretazioni dell’art. 59

Secondo una prima interpretazione, il legislatore del ’90 sembra aver accolto i suggerimenti di quella parte della dottrina che ha proposto una regola di imputazione soggettiva differenziata, a seconda che la circostanza aggravante accada ad un reato doloso ovvero ad un reato colposo: l’effettiva conoscenza dell’elemento circostanziale sarebbe richiesta soltanto rispetto a un illecito- base attribuito a titolo di dolo; mente, rispetto al reato colposo sarebbe sufficiente, ai fini dell’attribuibilità dell’aggravante, che il reo, pur potendola conoscere, non ne abbia conosciuto per colpa, l’esistenza.

La lettura del nuovo art. 59 ammette un ulteriore interpretazione, la quale si è imposta come dominante. Secondo questa seconda interpretazione, ai fini dell’imputazione della circostanza aggravante, basta in ogni caso che il reo ne abbia ignorato per colpa l’esistenza, non importa se la circostanza acceda ad un reato base doloso oppure colposo. La specifica colpevolezza relativa alle circostanze aggravanti, esige in tutti i casi, come coefficiente minimo di imputazione, la colpa.

In realtà l’innovazione di cui all’art. 59 risulta di rilevanza pratica modesta.

  • Già sotto il vigore della precedente formulazione, la regola dell’imputazione obiettiva subiva “deroghe” sia per espressa volontà del legislatore, si implicitamente in tutti i casi in cui la struttura stessa dell’aggravante fosse tale da rivelarsi incompatibile con un criterio di attribuzione che prescindesse del tutto da coefficienti soggettivi (es. le aggravanti che attengono ai motivi dell’azione criminosa, che in quanto tali richiedono necessariamente una corrispondente rappresentazione nella psiche dell’agente.
  • In secondo luogo è stato + volte rilevato che, anche in presenza di circostanze strutturalmente compatibili con un’imputazione di tipo oggettivo, dell’effettivo atteggiamento psicologico dell’agente la giurisprudenza ha finito col tener conto ai fini della concreta determinazione dell’aumento della pena. Ovviamente però vi sono anche circostanze aggravanti modellate dal legislatore in un certo modo, proprio perché pensate in un’ottica di attribuzione oggettiva (es. circostanze estrinseche, che fanno leva su elementi che non hanno nulla a che fare con la struttura del fatto tipico, come la recidiva).

In ogni caso d’ora in poi l’attribuzione delle lesioni gravi o gravissime, presupporrà sempre un coefficiente psicologico consistente almeno nella prevedibilità del loro verificarsi (nel caso di specie si trattava di una figura aggravatrice e non una figura autonoma di reato)

 

ART. 60 C.P.

L’art. 60 prevede una disciplina particolare per l’ipotesi di errore sulla persona offesa da un reato, e afferma che “ nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole. Sono invece, valutate a suo favore, le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono la qualità, le condizioni o i rapporti predetti”.

 

Caso

A ritiene di uccidere u nemico, ma a causa di un errore di percezione, uccide un uomo che in realtà è suo padre; in tal caso A non risponderà di parricidio, ma di omicidio semplice, nonostante di fatto sussista il rapporto di parentela previsto come aggravante dall’art. 577. Ai fini dell’applicabilità della norma sul parricidio, sarebbe necessaria l’effettiva consapevolezza da parte di A di indirizzare l’azione aggressiva contro il proprio padre, non basterebbe la mera conoscibilità del rapporto di parentela, dato che l’art. 60 nell’attribuire rilevanza all’errore, non distingue tra errore colpevole e incolpevole.

Proprio per questo l’art. 60 prospetta rispetto ai casi di errore sulla persona offesa, una regola soggettiva delle circostanze aggravanti, che risulta per il reo + favorevole di quella prevista oggi + in generale dal nuovo art. 59. Lo stesso vale circa la rilevanza che l’art. 60 accorda alla supposizione erronea di una circostanza attenuante, in deroga alla disciplina generale per cui le circostanze attenuanti sono applicabili solo in virtù della loro oggettiva esistenza a prescindere dal livello di consapevolezza che il reo ne abbia. (es. Tizio, a causa di un errore percettivo, rivolge l’azione criminosa contro una persona diversa dal provocatore e lo uccide; in tal caso Tizio beneficerà dell’attenuante della provocazione come se avesse realmente ucciso il provocatore).

L’ultimo comma dell’art. 60 ripristina invece, i criteri generali di imputazione di cui all’art. 59 “qualora si tratti di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa”

 

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