Problema centrale del concorso è quello del comportamento atipico minimo, necessario per concorrere nel reato. Per il nostro ordinamento, misto e garantista, tale problema va risolto alla luce:
- del principio di tassatività, poiché sarebbe un non senso determinare la fattispecie monosoggettiva e lasciare indefinita quella plurisoggettiva.
- del principio di materialità, in forza del quale ciascun concorrente deve, anzitutto, porre in essere un comportamento materiale esteriore, percepibile dai sensi.
- del principio della responsabilità personale, in forza del quale il comportamento esteriore deve concretizzarsi in un contributo rilevante alla realizzazione dell’evento, e questo per evitare che attraverso il concorso filtri la responsabilità per fatto altrui occulta.
Alla luce di quest’ultimo principio e del conseguente divieto della responsabilità per fatto altrui va risolto anche l’ulteriore dibattuto problema se occorra un autentico contributo causale, se sia sufficiente un semplice contributo agevolatore oppure se basti un aiuto qualsiasi.
Tra le varie teorie che hanno cercato di trovare una soluzione a questa problematica:
- inadeguata è la tradizionale teoria causale-condizionalistica, per cui l’azione del partecipe deve essere una condicio sine qua non del verificarsi del reato. Tale teoria, infatti, pecca per difetto, poiché, fondandosi su un giudizio ex post, esclude dal concorso sia i contribuiti non necessari, ma soltanto agevolatori, sia le ipotesi di partecipazione necessaria ex ante, ma rivelatasi inutile ex post.
- inadeguati sono i forzati ampliamenti del criterio condizionalistico:
- per alcuni sarebbe causale anche la condotta condictio sine qua non del reato come concretamente verificatori hic et nunc, ampliamento questo che rischierebbe di confondere la partecipazione al reato con la partecipazione al fatto storico.
- per altri dovrebbero ritenersi concausali tutte le condotte facenti parte del concreto piano organizzativo.
- inadeguata è la teoria che, di fronte all’impossibilità di risolvere il problema della partecipazione in termini causali, si limita a richiedere un qualsiasi atto diretto alla realizzazione del reato. In questo modo, infatti, si riduce la partecipazione ad una fattispecie di pericolo presunto, in contrasto sia col principio di offensività sia con quello di tassatività.
- inadeguata è la teoria della causalità agevolatrice, per la quale costituisce concorso non solo il contributo necessario, ma anche quello che si limita a facilitare la realizzazione del reato. Lo stesso concetto di causalità agevolatrice , infatti, è concettualmente un non senso, dal momento che la causalità non causante è una non causalità.
- inadeguata è la teoria della prognosi postuma, la quale si limita a richiedere che la condotta del partecipe appaia ex ante idonea a facilitare la realizzazione del reato, anche se ex post si rivela inutile o dannosa. Tale teoria, infatti, mancando di una base normativa, dato che il giudizio prognostico non ha senso rispetto ad un reato verificatosi, finisce per configurare un tentativo di partecipazione , non ammesso dal nostro codice.
A scanso di illusioni, nessun criterio e invocata riforma potranno mai tracciare una linea netta di demarcazione tra concorso punibile e concorso non punibile. Un accettabile contemperamento tra certezza giuridica, responsabilità personale e difesa sociale, tuttavia, può trovarsi se si fa coincidere la partecipazione punibile con le due tipologie ontologiche di condotta, con cui è possibile prendere effettivamente parte alla realizzazione collettiva del reato.
In questo modo, si avrebbe partecipazione quando l’agente, nella fase ideativo, preparatoria od esecutiva del reato, e secondo un giudizio ex post, abbia dato:
- un contributo necessario, avendo posto in essere una condicio sine qua non del reato stesso, nel senso che senza di esso questo non si sarebbe realizzato.
- un contributo agevolatore, avendo egli soltanto facilitato la realizzazione del reato, nel senso di averla resa più probabile, più facile o più grave.
Perché possa dirsi rispettato il principio della responsabilità per fatto proprio, quindi, mentre nella fattispecie monosoggettiva occorre che il soggetto abbia causato anche materialmente il reato, nella fattispecie plurisoggettiva basta che egli ne abbia agevolato l’esecuzione da parte di altri, poiché in forza del vincolo associativo diventano sue proprie anche le condotte causali dei soci. Per aversi concorso punibile, poi, è sufficiente che la condotta dell’agente, concepita come partecipazione materiale, dia luogo almeno ad una partecipazione morale, cosa questa che vale particolarmente nei casi delle condotte risultate ex post inutili o dannose, le quali, pur non potendo costituire partecipazione materiale, possono cionondimeno integrare una partecipazione psichica.
Il concorso per omissione nel reato commissivo altrui, particolarmente problematico, deve anzitutto essere distinto dal concorso nel reato omissivo, proprio e improprio, il quale non può essere configurato con una condotta inerte, richiedendo necessariamente un contributo attivo (es. marito che convince la moglie a lasciar morire di fame il neonato).
Per aversi concorso per omissione nel reato commissivo, comunque, occorre che l’omissione:
- sia condizione necessaria e agevolatrice del reato, premesso che l’altrui non facere può assurgere a condicio sine qua non o soltanto favorire la realizzazione del reato.
- costituisca violazione dell’obbligo giuridico di garanzia, ossia di impedimento dei reati altrui del tipo di quello commesso, per cui il soggetto, tenendo il comportamento doveroso, avrebbe impedito o reso più ardua la realizzazione del medesimo.
L’esistenza di detto obbligo impeditivo contraddistingue il concorso per omissione dalla mera connivenza (non punibile), la quale si ha quando il soggetto assiste passivamente alla perpetuazione di un reato, che ha la possibilità materiale, ma non l’obbligo giuridico di impedire.