Art.646: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del danaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1032 euro.

(2) Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata”.

La fattispecie di appropriazione indebita rappresenta un modello criminoso strutturalmente contiguo alla fattispecie di furto, presentando però delle differenze significative.

La ragione della differente disciplina si ritrova nella constatazione che il furto rappresenta una fattispecie insidiosa, mentre nell’appropriazione indebita tale insidiosità non si rinviene, visto che il soggetto si appropria di una cosa di cui ha già il possesso.

Secondo l’orientamento maggioritario, l’oggetto giuridico tutelato dalla norma sarebbe il diritto di proprietà, restringendo così il concetto di altruità ai soli proprietari. Ad ogni modo alcuni ritengono che l’altruità debba essere individuata anche nel caso in cui vi sia un mero interesse a che il vincolo di destinazione della cosa venga mantenuto.

Rispetto alla fattispecie di furto in cui l’impossessamento è la condotta, nell’appropriazione indebita il possesso è il presupposto della condotta appropriativa. Ricordiamo nuovamente che in diritto penale il possesso è un potere di fatto sulla cosa che si esercita al di fuori della sfera di controllo di chi ha sulla cosa un potere giuridico maggiore.

Così, ad esempio, non risponde di appropriazione indebita, ma di furto, colui che si impossessa, durante una cena elegante, delle posate d’argento: egli, infatti, mentre si appropria del bene, non ha ancora acquisito il possesso della cosa, perché non può esercitare un potere al di fuori della sfera giuridica dei legittimi proprietari; non sussistendo il possesso come presupposto, l’agente risponderà del reato di furto una volta che avrà realizzato l’impossessamento (non la mera sottrazione).

Sia chiaro poi che la giurisprudenza ha precisato che non rileva il possesso che deriva da una precedente attività illecita.

Ipotesi peculiare è quella del cosiddetto possesso sprangato. Immaginiamo che Tizio consegni a Caio un contenitore, chiuso con un lucchetto, con all’interno degli oggetti. Caio riesce ad aprire il contenitore e si impossessa degli oggetti all’interno. Si tratta di furto o di appropriazione indebita? Un primo orientamento, scindendo contenuto e contenitore, riteneva che si trattasse di furto, in quanto non si era instaurato precedentemente alcun possesso circa il contenuto.

Tale impostazione è stata nel tempo abbandonata, ed oggi si ritiene che la consegna del contenitore comporti anche l’affidamento del contenuto: si conseguenza il soggetto che si appropria degli oggetti all’interno commette il reato di appropriazione indebita.

Nel diritto penale, “appropriarsi” significa comportarsi con la cosa come si fosse proprietari della cosa stessa (uti dominus). Nel delitto di appropriazione indebita è necessario che questo animus si concretizzi in modalità esteriori percepibili anche da soggetti terzi, non bastando un mero atteggiamento soggettivo interno.

 

Alienazione della cosa

Il reato di appropriazione indebita si consuma anche in caso di alienazione della cosa di cui si ha il possesso, anche qualora il trasferimento a terzi sia avvenuto a titolo gratuito. Risponde infatti di appropriazione indebita il soggetto che dona a terzi un libro avuto in prestito.

 

Ritenzione della cosa

La semplice ritenzione presso di sé non è sufficiente ad integrare il reato, ma occorre che si manifesti la volontà di rifiutare la restituzione della cosa posseduta al legittimo proprietario.

Si pensi al soggetto che, avuto un libro in prestito, neghi di averlo mai avuto, rifiutandosi quindi di restituirlo: qui si ha appropriazione indebita.

 

Distrazione della cosa

Per distrazione deve intendersi una condotta che destina il bene a finalità diverse da quelle originarie. Parte della dottrina ritiene che alcune condotte distrattive, per essere qualificate come appropriazione, richiedono un quid pluirs rispetto alla semplice deviazione delle finalità.

Classico esempio è quello dell’operatore bancario che, nell’effettuare un’operazione di prestito verso un cliente, violi alcune regole statutarie cercando di aiutarlo: si può parlare di appropriazione indebita del denaro della banca solo qualora il soggetto effettui una vera e propria regalia al cliente, sapendo benissimo che egli non potrà mai restituire il prestito; tuttavia nel caso in cui l’impiegato cerchi solo di aiutare il cliente, non si può parlare di appropriazione indebita.

 

Uso indebito della cosa

Ci si chiede se il semplice uso non legittimato possa qualificarsi come vera e propria appropriazione. Si ritiene che il concetto di “uso” non sia pienamente compatibile con quello di appropriazione, richiamando in effetti una modalità di condotta temporanea.

Secondo la giurisprudenza l’uso indebito non può configurare un’appropriazione indebita, a meno che l’uso non determini un logorio sensibile o il deterioramento della cosa, ovvero qualora all’uso si accompagnino ulteriori condotte che evidenziano la volontà di volersi comportare sulla cosa come se si fosse proprietari.

 

Dolo specifico

La formula “per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto” è certamente indicativa di un dolo specifico, ed è sostanzialmente in grado di assolvere alla funzione selettiva. In effetti, chiunque si appropri di danaro o altra cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso per procurare a sé o ad altri un profitto GIUSTO non integra il reato perché si richiede un agire per un profitto ingiusto.

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