Consiste nel fatto di chiunque con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa (art. 610). La violenza privata ha la duplice funzione:

  • di fattispecie generale e centrale dei delitti contro la libertà morale, onde essa trova applicazione ogni volta che il fatto non integri gli estremi di altra fattispecie speciale;
  • di fattispecie sussidiaria rispetto ai delitti contro la libertà fisica, stente l’inadeguatezza di questi e una certa qual precarietà della contrapposizione tra libertà psichica e fisica.

Con riferimento a tale art. 610, possiamo mettere in luce le seguenti caratteristiche:

  • il soggetto attivo è chiunque (reato comune);
  • il soggetto passivo è il titolare del bene giuridico della libertà morale;
  • circa l’elemento oggettivo, la condotta consiste, trattandosi di reato a forma vincolata, nel costringere altri a fare, tollerare od omettere qualcosa col mezzo della violenza personale fisica (propria o impropria), della violenza personale psichica attiva o omissiva o
    della violenza reale, se diretta a coartare l’altrui attività. Il soggetto passivodella condotta:

    • deve essere una persona determinata, anche se la minaccia può rivolgersi al pubblico o ad un numero indeterminato di persone;
    • può essere anche persona diversa dal soggetto passivo del reato, potendo la vis cadere direttamente su terze persone, in quanto la volontà di un soggetto può essere coartata anche minacciando un male a un terzo;
    • circa l’elemento soggettivo, il reato è a dolo generico, richiedendo l’art. 610 soltanto la coscienza e volontà di costringere, mediante violenza o minaccia, altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa, ed essendo pertanto indifferente il fine dell’agente, che non abbisogna di essere illecito;
    • l’eventoè duplice, in quanto la condotta violenta deve essere causa dei due effetti:
      • dell’altrui stato di coazione, che può consistere in una coazione assoluta o relativa (rapporto strumentale tra costrizione e violenza);
      • del fare (attivo), tollerare (sopportazione) o omettere (passivo) qualche cosa, quale effetto del suddetto stato di coazione: nella violenza privata, infatti, viene in considerazione non la violenza-fine, ma la violenza-mezzo, finalizzata ad un comportamento della vittima.

Tale comportamento può seguire immediatamente o in un tempo successivo alla percezione della minaccia e può esaurirsi in un’unica condotta o frazionarsi nel tempo in più condotte, essendo essenziale che la pluralità di condotte sia pur sempre l’effetto di un’unica minaccia iniziale;

  • l’oggetto giuridico è la libertà morale sotto il profilo della libertà di autodeterminazione della volontà e dell’agire secondo le determinazioni;
  • l’offesa è la lesione della libertà morale, consistente nell’annullamento (coazione assoluta) o nella limitazione (coazione relativa) di tale libertà sotto i suddetti profili. Il ricorrente richiamo all’illegittimità del fatto risulta essere superfluo: con esso, infatti, si intende semplicemente sottolineare l’esigenza dell’assenza delle scriminanti degli artt. 51, 52, 53 e 54. Il fatto, quindi, deve essere illegittimo nel ristretto senso di non iure.

Viene scriminata la vis usata per impedire:

  • l’esecuzione o la permanenza di un reato, nei limiti della legittima difesa o dell’adempimento del dovere rispetto a particolari categorie di soggetti;
  • il suicidio, rientrando i fatti di violenza privata sul soggetto suicidantesi nel dovere di soccorso ex art. 593.

Circa il consenso, esso si pone in rapporto di incompatibilità con la violenza privata, poiché in presenza di esso viene meno l’esigenza della vis e della costrizione e, quindi, la tipicità del fatto. Non scriminata ex art. 54, invece, è la violenza inquisitoria, ossia necessaria per estorcere all’indiziario o imputato informazioni utili per salvare la vita di terze persone non altrimenti ottenibili. Assai dibattuto è il problema della legittimità delle condotte attive sussidiarie al diritto di sciopero (cosiddetto picchettaggio). Tra gli eccessi delle contrapposte soluzioni, istituzionalmente più corretta appare la soluzione intermedia dell’illiceità penale delle condotte sussidiarie impeditive dell’altrui diritto di non scioperare, se integranti gli estremi di un’autentica violenza-coazione;

  • la perfezione si ha nel momento e nel luogo del comportamento coartato, ossia quando e dove la vittima fa, tollera od omette ciò che, diversamente, non avrebbe fatto, tollerato od omesso. Il tentativoè configurabile nella duplice forma:
    • del tentativo incompiuto, che si ha qualora l’azione violenza non si compia;
    • del tentativo compiuto, che si ha qualora all’azione violenta non faccia seguito l’effetto coercitivo o comunque l’evento comportamentale.

Sono circostanze aggravanti speciali:

  • se la violenza o la minaccia è commessa con armi, da persona travisata (es. mascherata), da più persone riunite, con scritto anonimo, in modo simbolico o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte (artt. 610 co. 2 e 339);
  • se il fatto è commesso da persona sottoposta ad una misura di prevenzione;
  • se il fatto è commesso in danno di persona internazionalmente protetta;
  • se il fatto è commesso in danno di persona portatrice di handicap.

Trattamento sanzionatorio: il reato è punito di ufficio:

  • con la reclusione fino a 4 anni (ampiezza edittale dovuta alla necessità di adeguare la pena all’infinita varietà di ipotesi);
  • nell’ipotesi aggravata dall’art. 610 co. 2, con la suddetta pena aumentata fino a 1/3;
  • nelle altre ipotesi aggravate, con la suddetta pena aumentata da 1/3 fino a 1/2.
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