Il concetto di sviluppo sostenibile è codificato nel principio n 3 della dichiarazione di Rio ed è previsto nella sostanziale totalità delle grandi convenzioni in materia ambientale. Lo sviluppo è considerato sostenibile solo quando soddisfa le esigenze della generazione presente senza compromettere la capacità di quelle future di soddisfare le proprie.

Tale principio si collega strettamente al diritto allo sviluppo degli stati limitandone la portata ed implica il rispetto dei diritti delle future generazioni, l’ uso sostenibile e la preservazione delle risorse, l’ integrazione tra ambiente e sviluppo.

Esistono elementi significativi all’interno di questo principio: da un lato al necessità di un uso equo prudente e razionale delle risorse naturali, dall’altro la portata intergenerazionale della nozione qui un esame. Per contro questo principio, alla stregua di tutti gli altri principi e consuetudini in materia ambientale si connette con gli altri in precedenza citati ed assume così ad esempio anche implicazioni transfrontaliere nel senso che lo sviluppo di un determinato stato non deve andare a detrimento del patrimonio ambientale d’altri stati (cd. principio del buon vicinato) o delle risorse naturali del pianeta.

A questo proposito possiamo annoverare lo sfruttamento delle acque dolci, del suolo e delle altre risorse limitate ma strutturalmente condivise da più Stati, nonché il rispetto del clima globale e della fascia di ozono, rispettivamente oggetto della convenzione-quadro delle Nazioni Unite del 1992 e del protocollo di Kyoto alla stessa convenzione.

La cooperazione commerciale internazionale

La disciplina internazionale delle relazioni economiche e commerciali nasce con il General Agreement on Tarif and Trade (GATT). L’accordo generale sulle tariffe e il commercio fu posto in essere con una convenzione multilaterale; concluso a Ginevra nel 1947.

Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite istituì un organismo internazionale di cooperazione economica, l’International Trade Organization (ITO), il cui statuto è noto come “Carta dell’Avana”. Le disposizioni contenute in questa carta riguardano un sistema di libero scambio e sul principio di non discriminazione nei rapporti commerciali internazionali. Tale Carta venne presto abbandonata per la difficoltà di conciliazione degli interessi divergenti di ciascuno Stato.

Nel 1994 è stata istituita l’organizzazione mondiale del commercio che riprende ed estende l’accordo GaTT. L’obbligo di apertura dei mercati nazionali non è indiscriminato dal momento che il trattato OMC contiene la cosiddetta clausola di abilitazione per favorire le esportazioni da parte dei paesi in via di sviluppo sganciate da accordi di reciprocitĂ . Allo stesso modo il trattato deve flettersi dinanzi al internazionali che impongono limiti al libero commercio di determinati beni (si pensi alle armi nucleari). I

l GATT cerca anche di abbattere il fenomeno del “dumping”, limitando la produzione del bene importabile o l’importazione del bene stesso. Si ha una vendita in “dumping” quando un prodotto viene immesso in un mercato estero, il mercato di importazione, ad un prezzo piĂą basso rispetto a quello di un comparabile prodotto in vendita nel mercato d’origine o di esportazione. In particolare il problema è dato dal cosiddetto “dumping sociale” che caratterizza le merci di provenienza dai paesi in via di sviluppo. Tali merci sono caratterizzate da costi di produzione notevolmente ridotti, per costo del lavoro nettamente inferiore; sfruttamento del lavoro minorile o del lavoro forzato; carenza delle forme di assistenza e previdenza a favore del lavoratore.

 

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