Nella riparazione si è soliti anzitutto far rientrare l’obbligo della restituzione in forma specifica (restitutio in integrum), ossia del ristabilimento della situazione di fatto e di diritto esistente prima del compimento dell’illecito, se possibile.

Come restitutio in integrum vengono ad es. considerati la restituzione di persone, di cose, di navi, di documenti etc. illegittimamente detenuti.

Il dovere di far cessare l’illecito e di cancellarne ove possibile gli effetti appare, in un ordinamento primitivo quale è quello internazionale, come un aspetto dello stesso obbligo violato: non è il caso quindi di configurare la restitutio in integrum come oggetto di un obbligo nuovo prodotto dalla violazione.

Nello stesso senso si pronuncia la sentenza arbitrale del 1990 tra la Francia e la Nuova Zelanda, nel caso del Rainbow Warrior, nave dell’Organizzazione ambientalista Greenpeace, gravemente danneggiata da due agenti francesi mentre stazionava nel porto neozelandese di Auckland.

Francia e Nuova Zelanda avevano concluso un accordo in base al quale la prima, riconoscendo il suo coinvolgimento nell’accaduto, si era impegnata tra le altre cose a confinare per tre anni nell’isola di Hao, in Polinesia, i due agenti.

Questi, però, erano poi stati fatti rientrare prima della scadenza del triennio, per motivi di salute.

Anche la “soddisfazione” è considerata una forma di riparazione, precisamente una forma di riparazione di danni morali e cioè una forma di riparazione dovuta per il solo fatto che l’illecito sia stato compiuto e a prescindere dalla richiesta di risarcimento degli eventuali danni di carattere patrimoniale.

Si sostiene che, a titolo di riparazione morale, lo Stato offensore sia tenuto a dare soddisfazione allo Stato leso mediante comportamenti come la presentazione di scuse, l’omaggio alla bandiera o ad altri simboli dello Stato leso, il versamento di una somma simbolica e simili.

Nell’articolo sulla soddisfazione (il 37) del Progetto figurano, tra le forme della soddisfazione medesima, la constatazione della violazione, le espressioni di rammarico, le scuse formali ed ogni altra modalità appropriata.

Se si ha riguardo alla prassi contemporanea, tutto ciò che può dirsi dal punto di vista giuridico è che la presentazione ufficiale di scuse o una prestazione di carattere simbolico, o il ricorso ad un tribunale internazionale, se accettati dallo Stato leso, facciano venire meno qualsiasi ulteriore conseguenza del fatto illecito ed in particolare il ricorso a misure di autotutela.

La soddisfazione, lungi dal costituire l’oggetto di un obbligo dello Stato offensore, va a formare allora il contenuto di una sorta di accordo, espresso o tacito, che elimina ogni questione tra Stato offeso e Stato offensore.

La presentazione ufficiale di scuse può anche essere concordata in aggiunta al risarcimento del danno: così ad es. l’accordo del 1986 tra Francia e Nuova Zelanda, relativo all’incidente del Rainbow Warrior.

In definitiva l’unica vera forma di riparazione è costituita dal risarcimento del danno prodotto dall’illecito internazionale.

C’è però da chiedersi se l’obbligo di risarcire scaturisca da ogni e qualsiasi violazione di norme internazionali.

Senza dubbio la prassi relativa alle violazioni delle norme sul trattamento degli stranieri ed al conseguente esercizio della protezione diplomatica depone in tal senso.

A parte la materia del trattamento dello straniero, la prassi non può considerarsi certa: può ritenersi che il risarcimento sia senz’altro dovuto quando la violazione del diritto internazionale consista in, o si accompagni ad, un’azione violenta (esclusa forse la guerra) contro beni, mezzi ed organi dello Stato: fuori di questi casi è difficile ritenere che il diritto internazionale consuetudinario imponga che il danno venga risarcito.

Il Progetto prevede invece che il risarcimento pecuniario sia dovuto in ordine a qualsiasi violazione di norme internazionali e per “qualsiasi danno suscettibile di valutazione finanziaria, compreso il lucro cessante”; il 38 aggiunge il pagamento degli interessi.

Per quanto riguarda i danni prodotti dalle lesioni arrecate agli stranieri che ricoprono la qualifica di organo, occorre distinguere tra i danni subiti dall’individuo (e che vanno inquadrati nell’esercizio della protezione diplomatica) ed i danni subiti dall’organizzazione statale (c.d. danni alla funzione).

In ogni caso i danni risarcibili sono quelli materiali.

L’obbligo del risarcimento del danno che qui si è discusso è quello che riguarda i rapporti tra Stati: diverso è il caso dei trattati i quali prevedono che lo Stato contraente abbia l’obbligo di risarcire gli individui danneggiati dalla violazione del trattato medesimo.

Un esempio è offerto dal diritto comunitario, e precisamente dalla recente tendenza della Corte delle Comunità europee ad affermare il principio che i singoli possano chiedere innanzi ai giudici degli Stati membri, “e nell’ambito delle norme di diritto interno relative alla responsabilità”, il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione del diritto comunitario, in particolare dalla mancata attuazione di direttive comunitarie.

 

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