La Costituzioneriserva una particolare attenzione, proprio all’ interno del manipolo di Principi fondamentali, agli ordinamenti confessionali (art. 7.1 e 8.2).

La ragione di questa particolare attenzione è da individuarsi sia nella veduta, nuova concezione di sovranità; sia nel connesso principio pluralistico.

Innanzitutto la confessione religiosa è quella comunità sociale stabilmente costituita, avente una concezione trascendente del mondo, proprie ed originaria.

Occorre precisare che a monte della confessione religiosa vi è la religione, o fede religiosa, vale a dire il complesso di credenze e di atti di culto che collegano la vita dell’uomo ad un ordine divino superiore.

Non tutte le confessioni religiose però danno vita ad ordinamenti giuridici.

Ma la storia insegna altresì l’ esistenza di fedi religiose che si sono incarnate in confessioni religiose, dando a loro volta vita ad un ordinamento giuridico. Esemplare in questo senso il caso della Chiesa cattolica, per la quale addirittura costituisce un dato teologico fondamentale l’essere una società costituita di organi gerarchici, che produce un ordinamento giuridico come tale universalmente riconosciuto, cioè l’ordinamento canonico.

E’ sotto quest’ultimo profilo che il fattore religioso organizzato è oggetto di attenzione negli art. 7.1 e 8.2.

Il primo comma dell’art. 7, laddove si dice che lo Stato ela Chiesacattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, ha specificamente lo scopo di affermare che quello canonico è un ordinamento originario, nel senso chela Chiesacattolica, per la universalità della sua diffusione, per l’indipendenza effettiva da qualsiasi Stato, per la completezza dei suoi organi si presenta come ordinamento originario.

In quanto ordinamento primario, l’ordinamento canonico nulla vede aggiunto alla propria originarietà dal riconoscimento di cui alla norma in esame. Essa si pone anche come principio di interpretazione delle norme integranti l’ordinamento statuale, oltre che come norma programmatica.

In sede di Assemblea costituente non mancò chi criticò la formula in esame perché ritenuta adatta forse ad un trattato internazionale, e non ad una costituzione perché ritenuta ovvia ed inutile (come dire che l’ Italia ela Franciasono … ind e sov…). Invero i rapporti tra ord. Statuale e ord. Canonico non sono assimilabili ad essi in quanto l’ordinamento canonico e l’ordinamento italiano insistono sulla medesima popolazione e sul medesimo territorio.

Passando alle confessioni religiose diverse dalla cattolica, si deve ricordare che per il secondo comma dell’ art. 8, queste hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, formula con la quale si intende dire che il diritto dello Stato riconosce come ordinamenti giuridici quelli cui le confessioni religiose diverse dalla cattolica diano eventualmente vita.

Ma la disposizione appare in tutto il suo rilievo se si considera la sua funzione di limite posto al potere legislativo dello Stato, nel senso che questi non potrà dettare la disciplina statutaria di confessioni religiose che abbiano dato vita ad un ordinamento giuridico.

Lo stesso comma dell’ art. 8 aggiunge però, che le confessioni religiose acattoliche hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, ma solo in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

Su questo limite di conformità la dottrina ha molto dibattuto. Tra le varie posizioni va ricordata quella che da tale limite argomenta che gli ordinamenti delle confessioni acattoliche sarebbero secondari; altri invece hanno sostenuto che le confessioni acattoliche danno vita anch’esse ad ordinamenti giuridici primari, in quanto si riferiscono a formazioni sociali che non possono essere considerate intermedie tra il cittadino e lo Stato, ma che ne sono esterne.

Secondo tale dottrina il limite di conformità degli statuti starebbe solo a significare che in caso di statuti organizzativi in contrasto con il diritto dello Stato, le relative confessioni religiose non darebbero vita ad un ordinamento secondo il diritto statuale, ma sarebbero solo delle associazioni soggette alle norme dell’ art. 18.

Pare comunque più convincente l’opinione per cui le confessioni religiose danno vita ad ordinamenti secondari. Difatti gli ordinamenti in questione non risultano né sovrani né indipendenti: formalmente, giacchéla Costituzionenon riconosce esplicitamente loro questi attributi, riconosciuto invece alla Chiesa cattolica; sostanzialmente, giacché proprio in ragione del secondo comma dell’ art. 8 incontrano limiti in un ordinamento che si considera sovraordinato, com’è quello statuale.

E’ opportuno notare che nel caso delle confessioni religiose l’ordinamento si astiene da qualunque disciplina specifica in merito al loro regime statutario, laddove per le associazioni l’ordinamento statuale si preoccupa di dettare le norme-cornice, entro i cui limiti può determinarsi la privata autonomia (art. 16 e 32 c.c.).

Assai problematica è poi la individuazione dei contenuti oggettivi in cui si sostanzia il limite posto al secondo comma dell’ art. 8. Secondo una parte della dottrina la norma contenuta in detto articolo sarebbe sostanzialmente equivalente a quella dell’ art. 1, legge n. 1159, sulle confessioni acattoliche, per il quale sono ammessi nello Stato culti diversi dalla religione cattolica apostolica romana, purché non professino principi e non seguano riti contrari al buon costume. Tuttavia nel problema in esame si discute sul grado di autonomia di cui godono le confessioni acattoliche.

Altri hanno ritenuto che il limite in questione sta a significare che gli ordinamenti delle confessioni acattoliche non possono contrastare con l’ordine pubblico e con il buon costume. Altri ancora hanno ritenuto che detto limite consiste nel non contrasto con i principi dell’ ordinamento costituzionale italiano, o nel rispetto dei principi costituzionali in materia.

In una importante sentenza poi,la Cortecostituzionale sembrerebbe aver trovato una via mediana tra queste varie posizioni, ritenendo che il limite di cui si tratta dovrebbe essere riferito solo ai principi fondamentali dell’ ordinamento italiano (e quindi non del solo ordinamento costituzionale), e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative. (sent. N. 43)

Invero dalla formulazione letterale del secondo comma dell’ art. 8, sembra doversi dedurre che la riconosciuta facoltà di organizzarsi deve essere esercitata, da parte delle confessioni acattoliche, in modo da non contrastare con quelle norme dell’ ordinamento statuale che abbiano natura imperativa e siano quindi inderogabili. Ridurre il limite in questione ai principi fondamentali dell’ ordinamento sembra una forzatura del testo costituzionale, che parla esplicitamente di un contrasto con l’ ordinamento giuridico italiano.

Limiti sono posti anche alla Chiesa cattolica, nel senso che con il Concordato lo Stato se da una parte ha rilevato che l’ordinamento canonico è in gran parte compatibile con l’ordinamento italiano, d’altra parte ha proceduto a modificare a norme interne italiane contrastanti col diritto canonico, omettendo di riconosce le norme interne canoniche incompatibili coi principi irrinunciabili da parte statale.

Pare dunque doversi dedurre che nel caso di confessioni religiose con statuti organizzativi parzialmente in contrasto col diritto dello Stato, appare più probabile l’ opinione per cui tali statuti rilevano limitatamente alle sole parti conformi, senza produrre la totale irrilevanza della confessione acattolica come ordinamento (art. 8.2).

In definitiva le garanzie di cui al secondo comma dell’ art. 8 si sostanzia in una autonomia istituzionale per la quale non si dà allo Stato alcun diritto di ingerenza e di potestà sostitutiva sia per la riforma delle norme statutarie, così come alcun potere di indirizzo e di controllo di merito vincolante le autonome scelte delle confessioni religiose.

Un interrogativo che si è posto riguarda il requisito di democraticità degli ordinamenti interni.

Al riguardo appare convincente l’opinione secondo la quale ad una confessione religiosa non siano opponibili i principi della democraticità dell’ ordinamento interno.

E ciò sia perché caratteristiche generalmente ricorrenti nelle confessioni religiose solo l’investitura dall’ alto dei poteri e la strutturazione gerarchica della società religiosa; sia perchéla Costituzioneimpone esplicitamente l’obbligo del metodo democratico solo ai sindacati e ai partiti politici.

Un ulteriore problema è posto dalla tutela del singolo all’interno degli ordinamenti confessionali o dai rapporti tra le libertà delle confessioni religiose e libertà nelle confessioni religiose.

La questione nasce dal fatto che l’art. 2, garantendo i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia come componente delle formazioni sociali, pone un problema di tutela di detti diritti inviolabili non solo nei confronti dei poteri pubblici o privati estranei all’ individuo, ma anche nei confronti delle formazioni sociali di cui esso partecipi.

In particolare ci si chiede se sia possibile una protezione giurisdizionale del singolo all’interno della confessione religiosa, invocando l’art. 24 (Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi).

Occorre innanzitutto tener conto della peculiarità che sotto il profilo sia strutturale sia funzionale presentano quelle formazioni sociali tipiche che sono le confessioni religiose. Pare inoltre utile richiamare quella antica opinione dottrinale, secondo la quale lo statuto di una corporazione può essere tanto più autoritario quanto più libera ne è l’appartenenza.

Occorre dunque distinguere tra formazioni sociali necessarie (come la famiglia) e formazioni sociali volontarie (come le confessioni religiose); tra formazioni perseguenti interessi diretti dello Stato (come i partiti politici) o meramente indiretti (come le confessioni religiose). E dunque il problema della tutela dell’individuo in rapporto alle formazioni sociali si pone in tutta la sua pienezza ed urgenza nelle formazioni sociali aventi carattere necessario e finalità connessa con interessi diretti dello Stato.

Nel senso che per le formazioni sociali del tutto volontarie ed aventi solo finalità indirettamente connesse con interessi propri dello Stato, come appunto le confessioni religiose, la questione verrebbe a poco a poco a ridursi alla garanzia del rispetto della libera esplicitazione dell’ autonomia privata.

Di qui la prevalenza della libertà delle confessioni religiose sulla libertà dei singoli nelle confessioni religiose, anche se tale prevalenza non è assoluta, giacché non può andare oltre i limiti posti dalla Costituzione stessa alla autonomia delle formazioni sociali.

Viceversa nel caso della Chiesa cattolica il limite in questione è dato dalla sovranità dello Stato nell’ ordine suo proprio.

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