Ogni ordinamento tende, per necessità o per opportunità, a collegarsi con gli altri. In conseguenza della indicata secolarizzazione della politica e dell’interdipendenza ormai indiscutibile che esiste fra i soggetti produttori di risorse, lo Stato, per i suoi compiti di promozione sociale, ha bisogno del contributo delle risorse simboliche di cui dispongono i gruppi confessionali, deve evidentemente evitare situazioni di conflitto e creare invece le condizioni per una cooperazione, da intendersi come previsione di azioni reciprocamente vantaggiose.

Una volta presa coscienza della opportunità di un collegamento con le realtà confessionali, nulla in linea di principio è determinabile circa le tecniche attraverso cui si potrebbe realizzare siffatto collegamento.

Il fatto è che gli interessi istituzionalizzati di cui è portatore il gruppo confessionale potrebbero essere in potenziale o reale conflitto con altri interessi doverosamente tutelati dall’ordinamento statuale e quindi le norme disciplinatrici possono trovarsi di fronte alla necessità di una previa composizione di questi interessi; è opportuno pertanto che questa composizione di interessi assuma la struttura di una contrattazione.

Per quanto riguarda la emanazione di un tipo simile di norme, l’art. 7 c. 2° e l’art. 8 c. 3° Cost. stabiliscono il principio secondo cui, ove mai lo Stato intenda addivenire ad una regolamentazione legislativa dei rapporti con la Chiesa cattolica e le altre confessioni, deve farlo attraverso precise modalità di produzione normativa, ossia mediante una disciplina sui cui contenuti vi sia un preventivo accordo delle due Parti; e lo stesso preventivo accordo è necessario per norme modificative della disciplina dei rapporti attuata in precedenza. Questo vuol dire che una legge statale che volesse in via unilaterale costituire o modificare siffatta disciplina di rapporti sarebbe costituzionalmente illegittima.

La scelta della regola di bilateralità non è senza pesanti ombre sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista politico: essa presuppone che gli interessi dei gruppi religiosi siano esclusivi di ciascuno di essi e da trattarsi con ciascun singolo interlocutore, trascurando il fatto che invece molto spesso tali interessi, per la loro natura, sono comuni a tutta la categoria dei gruppi confessionali.

Dal punto di vista politico il principio di bilateralità, nella sua traduzione operativa, può essere piegato alla logica del progressivo affermarsi della c.d. società neocorporativa, dove i più forti acquistano poteri di cui non possono fruire gli altri soggetti sociali.

Ma il nostro ordinamento non si limita a stabilire la regola della bilateralità esso fa riferimento anche agli strumenti principali di attuazione di questa bilateralità, ossia il concordato per quel che riguarda la Chiesa cattolica, le intese per quel che riguarda le confessioni diverse dalla cattolica.

 

Lascia un commento