Una volta concluse le trattative, il Governo ha il dovere di presentare l’accordo concordatario alle Camere, perché detto accordo sia tradotto in legge. Rispetto ai trattati internazionali, il Parlamento è chiamato ad intervenire con due diversi atti legislativi: il primo è l’autorizzazione al Presidente della Repubblica ad operare la ratifica del trattato, ad esprimere cioè la volontà dello Stato ad obbligarsi, ed ha la funzione di un controllo sull’operato del Governo che ha condotto le trattative; il secondo è l’ordine di esecuzione dell’accordo, ed ha la funzione di realizzare l’adattamento del trattato al diritto interno statale.

Siccome la ratifica presuppone l’esistenza di un atto precedentemente compiuto a livello di soggetti sovrani, essa non può assumere forma condizionata né modificare in alcun modo il contenuto dell’accordo. Per cui, a parte l’ovvio potere di negare l’autorizzazione alla ratifica, il Parlamento non può apporre emendamenti al disegno di legge concernente l’autorizzazione alla ratifica dell’accordo; e questa inemendabilità viene estesa anche all’altro atto legislativo, ossia all’ordine di esecuzione del trattato, che riproduce letteralmente il contenuto del negoziato condotto dal Governo.

L’intesa costituisce semplicemente la base per la regolamentazione dei rapporti, regolamentazione che deve avvenire “per legge”: come per la Chiesa cattolica, pertanto, una volta realizzata l’intesa da parte degli organi designati, il contenuto dell’intesa stessa dev’essere trasfuso in una legge; l’intesa raggiunta deve essere dunque sottoposta all’esame del Parlamento per tradurla in legge dello Stato.

Perdurando l’incertezza circa la natura degli altri ordinamenti confessionali e delle conseguenti intese, si è creduto di poter arrivare alle stesse conclusioni cui si arriva per l’ordine di esecuzione del Concordato, utilizzando una peculiare figura di legge, la legge c.d. di approvazione.

L’interpretazione prevalente è stata nel senso che il potere di verifica del Parlamento, in analogia a quanto accade per la ratifica ed esecuzione di trattati internazionali, non può esprimersi procedendo ad emendamenti sostanziali del disegno di legge, in quanto questo è vincolato al testo dell’intesa raggiunta , bensì soltanto rifiutando di trasfondere in legge il contenuto dell’intesa e rendendo così necessaria una ripresa della procedura d’intesa secondo le indicazioni emerse dal dibattito parlamentare.

Questo particolare tipo di adattamento si rende necessario per intese paraconcordatarie. Queste, in effetti, vengono introdotte nel nostro ordinamento attraverso un regolamento, ossia, concretamente, attraverso un decreto del Presidente della Repubblica.

Per comprendere l’importanza della distinzione, occorre tener presente che la garanzia del controllo di costituzionalità è limitata alle leggi, per cui se interessi primari vengono disciplinati attraverso regolamenti, essi si trovano sguarniti di questa forma di garanzia, perché i regolamenti non sono soggetti a controllo di costituzionalità. Contro i rischi di una normativa secondaria che incida su interessi, dei cittadini singoli o della collettività interna, esplicitamente od implicitamente garantiti da riserve di legge, l’unico riparo è costituito da una corretta e seria esplicazione del potere di indirizzo e di controllo che spetta al Parlamento sui singoli atti del Governo.

L’art. 14 del Concordato con la Chiesa cattolica stabilisce infatti: “Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una commissione paritetica da loro nominata”.

 

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