Articolato e complesso si presenta l’insieme delle norme che riguardano il fenomeno religioso nelle sue diverse disposizioni. Il fenomeno non deve sorprendere qualora si consideri che attorno alle espressioni della religione si sono spesso aggregate forti ragioni di resistenza all’innovazione e di mantenimento dello status quo.

Così, per quanto attiene all’ Italia, la legislazione dell’ età liberale ha in molti casi resistito all’età del fascismo, nonostante la politica del regime fosse ispirata a tutt’altri principi, a cominciare da quello confessionistico; così come la legislazione del fascismo è in molti casi sopravvissuta all’avvento della Costituzione repubblicana, che in materia religiosa si ispira a principi del tutto diversi sia da quelli del liberalismo che da quelli del fascismo.

Tutto ciò significa che nell’ ordinamento italiano sono contemporaneamente in vigore norme che essendo nate in epoche diverse, rispondono a differenti orientamenti di politica ecclesiastica ed a esigenze diverse.

Con l’avvento della Costituzione repubblicana l’ estraneità del fenomeno religioso rispetto allo Stato è contenuta in quel principio di laicità che costituisce uno dei principi supremi dell’ ordinamento costituzionale.

Da quanto detto consegue che nell’ ambito del diritto ecclesiastico si sono dovute trovare, sul piano della produzione normativa, soluzioni tecniche idonee a riflettere e rispettare quel grado di estraneità che il fenomeno religioso oggettivamente presenta rispetto all’ ordinamento dello Stato.

In dottrina si sono proposti diversi criteri di classificazione delle fonti del diritto ecclesiastico.

a) Un primo criterio è quello storico. In relazione al momento in cui furono prodotte le norme vigenti possono essere ricondotte in tre grandi filoni: quello liberale, quello fascista, quello repubblicano.

LIBERALE: Si pensi a quelle contenute nella “Legge Crispi” (1890) che fino ad ora ha costituito (ma un dec. Legisl. Del 2001 ne ha determinato l’abrogazione) il testo base in materia di beneficenza pubblica.

FASCISTA: Più numerose le norme prodotte dal legislatore fascista, si pensi ai codici civili e penale che pure contengono disposizioni relative al diritto ecclesiastico; o a tutta la legislazione speciale in materia ecclesiastica a cominciare dalla legge 27 maggio 1929 n. 810, che dette esecuzione al Trattato ed al Concordato dell’ 11 febbraio 1929, nonché alla normativa sui culti ammessi che si applica alle confessioni religiose diverse dalla cattolica che non abbiano stipulato con lo Stato una Intesa ai sensi dell’ art. 8.3.

REPUBBLICANA: Nella Costituzione repubblicana vi sono numerose disposizioni nelle quali il fattore religioso è espressamente menzionato: art. 3, 7, 8, 19 e 20. Altre disposizioni, in modo diretto o indiretto, possono valere a disciplinare i rapporti di religione (come l’art. 2), vi sono poi le norme di derivazione concordataria che sono garantite dagli art. 7 cpv e 8.3 della Costituzione.

b) Un secondo criterio, per certi aspetti assai vicino al primo, è quello che potrebbe definirsi per rapporto alla matrice politico-culturale delle norme. In questa prospettiva è stata proposta la distinzione tra un filone separatistico, un filone confessionista ed un filone regalista della legislazione ecclesiastica.

SEPARATISTICO : Il primo si individua chiaramente in alcune disposizioni del legislatore liberale e soprattutto a partire dalle norme costituzionali relative ai rapporti tra Stato e confessioni religiose.

CONFESSIONISTA: Il secondo è più evidente nella legislazione del fascismo, in particolare nelle norme del codice penale in tema di tutela della religione dello Stato.

REGALISTA: Il terzo traspare ad esempio dalla legislazione del 1929-30 sui culti ammessi, dove sussiste un forte atteggiamento di controllo dello Stato sulla vita interna delle confessioni stesse.

c) Un terzo criterio è quello che distingue le norme secondo la loro origine sostanziale. In questo caso la dottrina ha distinto tra

FONTI DI ORIGINE UNILATERALE STATALE : come ad esempio la legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare N. 230;

FONTI DI ORIGINE UNILATERALE CONFESSIONALE : che per volontà dello Stato possono produrre effetti nell’ ordinamento italiano;

FONTI DI DERIVAZIONE PATTIZIA : cioè derivanti dall’ attività convenzionale dello Stato con le confessioni religiose (art. 7.2, art. 8.3 Cost.)

d) Un quarto criterio è quello che fa riferimento ai caratteri formali, nel senso che distingue le norme rilevanti per il diritto ecclesiastico a seconda delle fonti formali o fonti di cognizione. Le fonti di cognizione del diritto ecclesiastico civile si trovano in disposizioni legislative dello Stato, emanate sia unilateralmente, sia in esecuzione di accordi con le confessioni religiose (Costituzione repubblicana, Patti Lateranensi e gli accordi successivi conla Chiesacattolica e le altre confessioni religiose, le leggi che dettano norme formalmente attribuibili alla volontà unilaterale dello Stato come quelle che hanno previsto le norme di applicazione del Concordato del 1929).

e) Diverso criterio è quello che distingue le varie norme secondo i procedimenti formativi delle stesse (fonti di produzione). Le fonti di produzione del diritto ecclesiastico sono di vario livello e pongono taluni problemi. Occorre tener presente che vi è un settore nel quale la fonte normativa può essere alternativamente sia legge ordinaria, sia legge costituzionale. Si tratta di quelle norme che, essendo dettate dalla legge di esecuzione dei Patti lateranensi o dalla legge che dia esecuzione alle intese con le confessioni religiose di minoranza, sono protette dagli art. 7 cpv. e 8.3 Cost. Tali norme possono essere modificate da una legge ordinaria se questa dia esecuzione ad un nuovo accordo; altrimenti occorrerà ricorrere all’ emanazione di una legge costituzionale.

Nel settore che non è garantito dagli art. 7 cpv. e 8.3 è la legge ordinaria la fonte principale di norme di diritto ecclesiastico. Al livello normativo inferiore stanno le norme regolamentari ora dettate con decreto del Presidente della Repubblica e in passato con regio decreto. Tali provvedimenti disciplinano le modalità applicative delle norme di legge e perciò devono essere conformi a queste. Scendendo nella scala gerarchica delle fonti vi sono le norme interne della pubblica amministrazione dette circolari, che si impongono come norme d’azione degli uffici inferiori in base al principio gerarchico, esse devono essere conformi alla legge e ai regolamenti.

Inoltre, poiché talune delle materie di competenza regionale come l’ assistenza sanitaria o la beneficenza pubblica, possono rientrare anche negli interessi delle confessioni religiose, non è escluso che le leggi regionali possano essere comprese tra le fonti di norme di diritto ecclesiastico.

Anche per le fonti di diritto ecclesiastico valgono quei criteri ordinatori del sistema normativo, che sono il principio di gerarchia e il principio di competenza.

Per quanto attiene in particolare al principio di gerarchia, è evidente che i peculiari modi di formazione delle norme di origine convenzionale e le garanzie di cui esse sono circondate in virtù delle disposizioni costituzionali, incidono fortemente sul principio stesso, alterando la scala di resistenza passiva alla abrogazione che lo connota.

Emblematica in tal senso la situazione delle norme dei Patti lateranensi che in base all’ art. 7.2 presentano una resistenza passiva all’ abrogazione o alla modificazione diversa a seconda del procedimento seguito. E’ già stato rilevato infatti, che le norme pattizie presentano una resistenza passiva pari a quella delle fonti primarie, nel caso di modificazione convenute dalle due parti contraenti i Patti; mentre presentano una resistenza passiva all’ abrogazione pari a quella delle norme costituzionali nel caso che tale accordo non sia intercorso.

Quanto al principio di competenza, si deve osservare chela Costituzioneriserva allo Stato la definizione in via pattizia delle norme disciplinanti rapporti con le confessioni religiose, con conseguente esclusione di competenze delle Regioni, sia a statuto ordinario che a statuto speciale. Tale criterio è stato esplicitamente riaffermato con la recente riforma del Titolo V della Costituzione.

Vi è da osservare che la riforma, cancellando la potestà legislativa attuativa delle Regioni, sembra aver ulteriormente irrigidito il sistema delle fonti in materia ecclesiastica, rendendo emblematico quanto prima era stato affermato in dottrina, ossia la possibilità che una legge dello Stato esecutiva di un accordo con le confessioni religiose attribuisca alle Regioni il potere di intervenire con proprie leggi a disciplinare la materia ecclesiastica.

Non di rado lo Stato ritiene opportuno conferire efficacia civile a norme di origine confessionale. Tale conferimento di efficacia può essere determinata da ragioni di principio, di fatto o per meri motivi di opportunità.

In questi casi il collegamento tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento confessionale avviene attraverso le modalità del rinvio formale o del presupposto in senso tecnico.

Non si ha il rinvio recettizio giacché questo ha luogo quando un dato ordinamento attua tale disciplina riproducendo nel proprio ambito le norme dettate in un altro ordinamento.

In particolare il rinvio formale alle disposizioni poste nell’ ordinamento confessionale si ha ogni qual volta lo Stato, anziché disciplinare direttamente una certa materia preferisce attribuire efficacia civile al diritto confessionale, che peraltro continua a vigere nell’ ordinamento di origine e rimane estraneo all’ ordinamento italiano (per esempio il riconoscimento civile del matrimonio canonico art. 8.1 Accordo).

Si dà luogo, invece, al presupposto in senso tecnico qualora il diritto dello Stato attribuisce efficacia ad una qualifica confessionale (per esempio la qualifica di ministro di culto riconosciuta dall’ ord. Ita. a persone fisiche in base alle norme interne dei vari ordinamenti confessionali siano state destinate al servizio di culto).

Quanto detto sin qui vale anche per il diritto canonico. Tuttavia nel Concordato italiano manca una disposizione che espressamente riconosce in via generale la vigenza in Italia del diritto canonico. Il riconoscimento di sovranità di cui all’ art. 7 infatti non vuol dire che automaticamente lo Stato riconosca vigenti nel proprio ordinamento tutte le norme canoniche ed efficaci tutti gli atti posti a base di esse. Difatti l’indipendenza e la sovranità della Chiesa significano soltanto che lo Stato non è legittimato a sindacare gli interna corporis dell’ istituzione ecclesiastica.

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