L’aspirazione naturale delle persone è quella di poter scegliere e decidere il tipo di comportamenti da tenere per la propria auto-realizzazione, senza esserne impedite. L’impedimento a questa aspirazione naturale proviene dal potere, quello pubblico innanzitutto, ma anche quello privato.

Oggi si va affermando il convincimento che per tutelare effettivamente le libertà non basta fermarsi alle restrizioni costituite da illegittimi attacchi da parte dei poteri pubblici e privati, bensì occorre anche guardare alle restrizioni costituite dalla carenza di mezzi economici e giuridici, che si traduce in difficoltà di fatto rispetto al compimento delle attività in cui si concreta l’esercizio delle libertà stessa.

Rispetto alle restrizioni del primo tipo ( = ostacoli di natura economica), l’uso del diritto è in funzione garantista, ossia deve configurare quegli atti autoritativi come contrari alla legalità, fornendo al soggetto la pretesa giuridica, azionabile dinanzi agli organi statuali, alla loro eliminazione.

Rispetto alle restrizioni del secondo tipo ( = ostacoli di natura giuridica), l’uso del diritto è in funzione interventista, ossia deve determinare le modalità d’intervento del potere pubblico al fine di rimuovere gli ostacoli di natura economica oppure al fine di ampliare la sfera giuridica dei soggetti.

Questo discorso varrebbe anche per la libertà religiosa. Quegli aspetti sono riconducibili sostanzialmente a quella dimensione della libertà religiosa che si conviene di qualificare come negativa, l’atteggiamento dello Stato è puramente garantista, nel senso che, da una parte, impegna i propri poteri ordinamentali a non ostacolare le attività ed i comportamenti attraverso cui i soggetti realizzano la loro esperienza religiosa, dall’altra impegna il proprio potere giudiziario ad intervenire per tutelare i soggetti da ostacoli tuttavia frapposti sia da parte dei poteri pubblici, sia da parte dei numerosi poteri privati.

In relazione alla libertà religiosa sarebbe doveroso evidenziare una dimensione qualificabile come positiva, ricollegabile cioè ad una serie di condizioni di fatto.

Quali sono queste condizioni di fatto? Sono tutte le attività ed iniziative attraverso cui il singolo può effettivamente condurre l’esperienza religiosa.

La stessa Corte Costituzionale favorisce una lettura della libertà religiosa in questo senso, allorché rileva che lo Stato si fa carico del compito di “facilitare l’esercizio del culto”, che è “componente essenziale della libertà religiosa, consequenziale alla stessa professione di una fede religiosa”.

Nella sua dimensione positiva, la libertà religiosa appare soltanto come posizione degna di attenzione sul piano politico; essa si configura cioè come un diritto di prestazione nei confronti delle strutture pubbliche. Le forme di aiuto che il potere pubblico decide di fornire, costituiscono il frutto di scelte politiche, il cui rischio è proporzionale alla discrezionalità con cui il potere pubblico dispensa risorse giuridiche e materiali, discrezionalità attraverso cui possono passare preferenze e gradimenti favoriti dalla possibilità di uno scambio politico.

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