Tutela obbligatoria

In forza di questo più debole regime di protezione del lavoratore licenziato senza giustificato motivo (art. 8 della l. 604 del 1966), il lavoratore in questione ha diritto ad essere riassunto, ma non a percepire le spettanze retributive che avrebbe maturato dal momento in cui è stato licenziato sino a quello della sentenza che ha statuito l’obbligo di riassunzione.

Peraltro, e qui sta l’elemento principale, l’obbligo di riassunzione è previsto soltanto come alternativa al pagamento, da parte del datore di lavoro, di un risarcimento del danno, commisurato ad una penale predeterminata dal giudice tra un minimo di due mensilità e mezzo e un massimo di sei mensilità dall’ultima retribuzione globale percepita dal lavoratore.

Questa tutela è detta obbligatoria proprio perché si limita alla predisposizione, a mezzo della sentenza dichiarativa del carattere ingiustificato del licenziamento, di un obbligo, che può essere assolto dal datore di lavoro liberamente scegliendo tra l’una e l’altra modalità.

Tutela reale

A paragone di quella appena esaminata, la tutela reale (art. 18 St. lav.) è incompatibilmente più protettiva, in quanto comporta la restituzione al lavoratore illegittimamente licenziato del posto di lavoro perduto in forma, appunto, reale.

Il principio che anima la norma è che il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto:

  • al ripristino giuridico del rapporto di lavoro.
  • alla reintegrazione materiale del posto di lavoro, con l’aggiunta del risarcimento dei danni, anzitutto patrimoniali, patiti a causa del licenziamento.

La l. n. 108 del 1990, a tale meccanismo di base, ha aggiunto un ulteriore beneficio per il lavoratore, titolato a risolvere il rapporto, fatti salvi i danni pregressi, in luogo della reintegrazione, col conseguimento di un bonus pari a ulteriori 15 mensilità di retribuzione.

Detto questo, comunque, occorre sottolineare che l’art. 18 St. lav. è una norma rivolta al giudice il quale è tenuto ad accertare l’illegittimità del licenziamento. Facendo riferimento ad una riassuntiva nozione di illegittimità, tuttavia, si allude a tre possibili vizi:

  • il vizio formale dell’inefficacia del licenziamento per violazione della l. n. 604 del 1966.
  • il vizio sostanziale della carenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.
  • il vizio che comporta la nullità del licenziamento laddove di esso venga accertato il carattere discriminatorio.

Gli ordini di condanna contenuti nella sentenza ex art. 18 sono la conseguenza di contestuali statuizioni. Tali ordini, in particolare, non sono altro che l’implicazione naturale , ossia conforme ai principi del diritto civile, dell’invalidazione del licenziamento. Con la sentenza emessa ex art. 18, quindi, il giudice:

  • dichiara giuridicamente ripristinato il rapporto di lavoro precedentemente estinto ad opera del licenziamento illegittimo (co. 1).
  • condanna il datore di lavoro a reintegrare materialmente il lavoratore nel posto di lavoro, reinserendolo effettivamente all’interno dell’azienda e dell’organizzazione (co. 1).
  • condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione (co. 4). La misura del risarcimento non può in nessun caso essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il risarcimento del danno, a prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (co. 5). Tale facoltà di rinunciare alla reintegrazione costituisce un diritto potestativo, da esercitarsi entro 30 giorni decorrenti dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio oppure dalla comunicazione del deposito della sentenza contente l’ordine di reintegrazione. All’atto dell’effettiva corresponsione al lavoratore delle 15 mensilità richieste, comunque, il rapporto di lavoro viene a risolversi

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