Gli attori dell’ordinamento sindacale e i loro rapporti
In ogni ordinamento sindacale operano tre attori: le organizzazioni sindacali dei lavoratori, le organizzazioni sindacali imprenditoriali (e gli stessi singoli imprenditori), lo Stato (e più in generale le istituzioni pubbliche). I rapporti tra questi tre attori variano nel tempo e a seconda degli ordinamenti.
Le origini: la repressione del fenomeno sindacale
In Italia, come in gran parte dei paesi occidentali, i rapporti collettivi sono stati caratterizzati all’origine da forti tensioni conflittuali e da interventi repressivi da parte dello Stato nei confronti dell’organizzazione sindacale e a maggior ragione dello sciopero.
Quasi tutti i paesi occidentali hanno attraversato una prima fase storica in cui l’ordinamento giuridico, generalmente il legislatore, negava ai lavoratori e agli imprenditori la possibilità di organizzarsi collettivamente per motivi di autotutela.
Il periodo della tolleranza penale
Nella fase successiva lo Stato provvide a rimuovere i divieti penali al conflitto e all’organizzazione sindacale, sancendo la libertà di coalizione.
Il codice Zanardelli del 1889 inaugurò un periodo di tregua che durò fino al fascismo, non puniva lo sciopero e la serrata ma i comportamenti in contrasto con la libertà di lavoro.
All’inizio del ventesimo secolo in Europa nacquero una serie di istituzioni pubbliche competenti per le materie di rapporti di lavoro e relazioni industriali. Al consiglio dei probiviri spettava la competenza sia sulle controversie individuali, sia in seguito su quelle collettive; fu il primo esempio in Italia di intervento in materia di contrattazione collettiva.
Il periodo corporativo
In Italia l’avvento del fascismo interruppe lo sviluppo delle relazioni industriali. Si creò un sistema sindacale e contrattuale pubblicistico, completamente controllato dallo Stato. La legge 3 Aprile 1926 n. 563 ammetteva formalmente la libertà sindacale, ma solo un sindacato di lavoratori e datori per ogni categoria poteva ottenere il riconoscimento legale dal Governo con attribuzione della personalità giuridica; era quindi tutto controllato dallo Stato.
Una volta riconosciuti i sindacati avevano ex lege la rappresentanza di tutti i componenti della categoria, quindi i contratti collettivi da questi conclusi avevano efficacia erga omnes. Il conflitto era represso penalmente come reato contro l’economia nazionale.
La fase transitoria (1943-1947) e la Costituzione
Dopo la caduta del fascismo (25 Luglio 1943) uno dei primi atti del Governo Badoglio fu quello di abrogare le corporazioni e le istituzioni tipiche della fase corporativa.
Il modello costituzionale si fonda sulla valorizzazione del lavoro come criterio ordinatore generale dei rapporti tra Stato e società , e come fondamento di una partecipazione dei lavoratori alla vita produttiva e sociale; questo spiega la serie di diritti riservati esclusivamente ai lavoratori subordinati.
L’articolo 39 sancisce tre principi fondamentali:
a) la libertà sindacale come fondamento delle relazioni industriali (comma 1);
b) la registrazione del sindacato come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratti collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono;
c) l’attribuzione di tale capacità contrattuale a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati, in proporzione dei loro iscritti.
La valorizzazione del sindacato è rafforzata dal riconoscimento dello sciopero (art. 40), privilegiato rispetto alla serrata.
La crisi del modello costituzionale
La crisi del modello dell’art. 39 si ha già con la rottura dell’unità sindacale (1948). Comune a tutti i sindacati è la paura di un controllo pubblico sulla propria organizzazione e sullo sciopero, la disciplina dell’ordinamento sindacale si sposta così nel diritto privato; il sindacato è quindi un’associazione non riconosciuta, sottratta a disciplina legislativa.
Lo statuto dei lavoratori
L’impulso decisivo al superamento della prospettiva costituzionale del riconoscimento giuridico avviene nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori. Il campo di intervento stavolta è l’azienda, all’interno della quale il sindacato è il centro di contropotere. La legge è limitata alla realtà industriale della fabbrica, e non si riferisce alle piccole realtà produttive.