Nel 1919, è stata costituita l’Organizzazione internazionale del lavoro, alla quale partecipano i governi, le organizzazioni degli imprenditori e i sindacati dei lavoratori di ciascuno stato membro. Lo scopo perseguito era quello di operare per la realizzazione di un programma di giustizia sociale, essendo già allora ritenuto “urgente” il miglioramento delle condizioni di lavoro “che implicano – per un gran numero di persone – ingiustizia, miserie e privazioni”. “Il lavoro non è una merce”.

Così declamava la Dichiarazione di Filadelfia del 1944, che ha sancito il diritto di tutti gli esseri umani, di “tendere al loro progresso materiale ed al loro sviluppo spirituale in condizioni di libertà, di dignità, di sicurezza economica, e con possibilità uguali”. Pertanto, “il raggiungimento delle condizioni che permettono di conseguire questi risultati deve costituire lo scopo principale dell’azione nazionale ed internazionale”. Nel tempo l’azione dell’O.I.L. si è sviluppata principalmente attraverso una intensa attività di elaborazione di “convenzioni” e “raccomandazioni” dirette ad individuare “standard internazionali di lavoro” e a promuoverne la diffusione e il rispetto.

Tuttavia, l’efficacia giuridica di tali standard è rimessa ad un processo di volontario recepimento da parte degli stati aderenti. Il risultato è che, allo stato, la maggior parte delle numerose convenzioni che nel corso del tempo sono state adottate dall’O.I.L per la tutela di condizioni minime di lavoro risulta ratificata soltanto da una minoranza dei paesi aderenti. Al fondo di tutto, va registrata la diffidenza da parte di paesi caratterizzati da differenti tradizione storiche, culturali e politiche verso l’imposizione di standard minimi di tutela del lavoro. Diffidenza che si traduce spesso in ferma opposizione.

Con una realistica presa di atto delle difficoltà esistenti, l’O.I.L. ha adottato, nel 1998, la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, con la quale è stato selezionato e recepito un numero ristretto di convenzioni aventi ad oggetto quattro core labour standard, riguardanti, rispettivamente: la libertà di associazione e l’effettivo riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato e obbligatorio; l’effettiva abolizione del lavoro infantile; l’eliminazione delle discriminazioni in materia di lavoro. Resta, comunque, l’assenza di uno specifico apparato sanzionatorio.

Di fatto, la stessa O.I.L. ritiene che l’affermazione e l’implementazione di tali diritti debba essere perseguita con azioni di natura promozionale, fornendo assistenza tecnica ed altre forme di sostegno a favore dei paesi interessati, e svolgendo altresì un’attività di supervisione nei loro confronti.

La terza e più recente Dichiarazione, adottata dall’O.I.L. nel 2008, quindi, non ha ad oggetto la declamazione di nuovi diritti, ma la individuazione di “obiettivi strategici” da perseguire, ossia la promozione dei diritti fondamentali dell’occupazione, dello sviluppo e del potenziamento degli strumenti di protezione sociale, del dialogo sociale. Resta, però, profonda la distanza tra obiettivi dichiarati e strumenti disponibili per realizzarli.

 

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