La scelta privatistica

Il diritto sindacale è stato ancorato al diritto privato, come accade in altri paesi occidentali, escludendolo dal diritto pubblico.

L’associazione non riconosciuta. Disciplina costituzionale e disciplina del codice civile

Un primo corollario di questo inquadramento del sindacato nel diritto privato è la sua qualificazione giuridica come associazione non riconosciuta ai sensi degli articoli 36 e ss del c.c., almeno quando, secondo la formula prevalente, assuma una struttura associativa.

L’associazione non riconosciuta qualifica normativamente fenomeni organizzativi diversi, dai più modesti circoli ricreativi o culturali ad organismi complessi e di grandi dimensioni e con gestione di notevoli mezzi finanziari.

La regolamentazione dell’associazione non riconosciuta da parte del codice civile del 1942 costituì una innovazione legislativa notevole; il codice del 1865, infatti, ispirato alla codificazione napoleonica, ignorava del tutto questo tipo di organizzazione sociale.

Nella evoluzione del pensiero giuridico, già all’inizio del secolo affiorarono innovative posizioni che tendevano a svincolarsi dal principio individualistico; esse scorgevano nella associazione non soltanto una somma di individui, bensì una unità giuridica. Questa dottrina influì sulla disciplina dettata dal nuovo codice civile in tema di associazione non riconosciuta.

DISCIPLINA GIURIDICA DELLA ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA: il fondo sociale costituisce un’unità che va oltre i singoli individui facenti parte dell’associazione. Il fondo permane oltre la volontà del socio di mantenere in vita il rapporto giuridico e si estingue soltanto con l’atto in cui i soci deliberano lo scioglimento dell’associazione. Sotto questo aspetto, la disciplina non si discosta da quella delle associazioni riconosciute. Il regime di responsabilità patrimoniale appare in una posizione intermedia fra quella propria della personalità giuridica, che ha un’autonomia patrimoniale perfetta, e l’imputazione a tutti i singoli soci come deriva dalla visione atomistica propria della vecchia dottrina. Tale posizione intermedia consiste nella congiunta e solidale responsabilità del fondo sociale e delle persone che hanno agito in nome per conto dell’associazione. La natura unitaria dell’associazione resta, infine, confermata dalla attribuzione della rappresentanza processuale di essa al presidente o al direttore: parte in giudizio, pertanto, non sono i soci, bensì l’associazione attraverso tali persone.

L’associazione non riconosciuta – anche se priva di personalità giuridica – è soggetto di diritto, perché costituisce un centro autonomo di imputazioni giuridiche. Notevoli, peraltro, sono le insufficienze della disciplina. Il caso più interessante, con riguardo ai sindacati, fu quello originato dalle scissioni del 1948, col distacco dalla Cgil della corrente cristiana, e, poi, nel 1949, dei lavoratori repubblicani e socialdemocratici.

Seguì a ciò una complessa vicenda giudiziaria: da un lato i gruppi secessionisti rivendicavano una parte del patrimonio dell’associazione; dall’altro lato si opponeva che, in base all’ordinamento vigente, l’atto di secessione di un gruppo dell’associazione non poteva riguardarsi che come una somma di dimissioni dei singoli componenti, i quali, come recedenti, non potevano avanzare alcuna pretesa di ripetizione della quota di versamenti effettuati, né di devoluzione di parte del patrimonio sociale. La questione non venne decisa perché fu oggetto di transazione stragiudiziale.

Lo schema venne tuttavia integrato, tenendo conto di alcuni importanti contributi dottrinali. È stato argomentato, infatti, che tra associazioni non riconosciute e associazioni riconosciute come persone giuridiche vi sarebbe identità di struttura è, quindi, per le associazioni non riconosciute troverebbero applicazione, oltre agli articoli 36-38 CC, anche tutte quelle norme sull’associazione riconosciuta che non si ricolleghino, in modo immediato oppure mediato, al riconoscimento della personalità giuridica.

Gli accordi tra gli associati, pertanto, nonostante la lettera dell’articolo 36, non sarebbero la fonte esclusiva o primaria dell’ordinamento interno delle associazioni; l’associazione non riconosciuta, per questa via, verrebbe ad essere regolata da un complesso di norme legali esauriente, anche sotto profilo della organizzazione interna (GALGANO). La conseguenza di maggior rilievo sarebbe la deducibilità in giudizio dei conflitti nascenti dalla applicazione delle norme interne, ossia la sottoposizione della dinamica interna dell’associazione al controllo giudiziale.

Questa impostazione è stata tuttavia oggetto di numerose critiche. In particolare si è obiettato (BASILE) il contrasto con il principio di libertà associativa sancito dall’articolo 18 della costituzione, sostenendosi che l’unica fonte di regolamentazione dei rapporti endoassociativi dovrebbero rimanere gli accordi tra gli associati. E, si è aggiunto, ciò dovrebbe valere a maggior ragione nell’ipotesi in cui la generica libertà di associazione è specificata dal fine sindacale, in quanto esplicitamente garantito dalla costituzione.

Si è venuto così a delineare un netto contrasto tra i sostenitori di una tesi interventista, tendente alla sottomissione del sindacato al diritto comune e, in particolare, della sua dinamica interna al normale controllo giudiziale, e un’altra che perviene ad affermarne una sostanziale posizione di immunità da quest’ultimo.

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