La funzione previdenziale affidata dalla legge alle strutture pubbliche trova un limite per quanto attiene al livello delle prestazioni, ma anche per le prestazioni destinate a realizzare la tutela della salute.

Il livello delle prestazioni previdenziali non solo determinato tenendo conto delle risorse disponibili, ma tenendo anche conto che la loro funzione è quella di realizzare la soddisfazione dell’interesse pubblico alla liberazione delle situazioni di bisogno e, con essa, una solidarietà estesa a tutti cittadini.

Le prestazioni erogate dei regimi previdenziali pubblici devono essere commisurate soltanto quei bisogni che legislatore considera tipici della generalità degli assistiti.

I lavoratori hanno avvertito l’interesse a mantenere, quando saranno pensionati, il tenore di vita che è stato loro consentito dalle retribuzioni percepite mentre lavoravano.

II livello delle pensioni non coincide mai con l’ultima retribuzione o all’ultimo reddito, mentre i meccanismi di perequazione delle pensioni non sono idonee a garantire una dinamica corrispondente a quella del costo della vita o delle retribuzioni e neppure quella del costo della vita.

In passato la legge aveva consentito l’istituzione di regimi previdenziali aziendali esonerativi di quello generale gestito dall’INPS. Tali regimi realizzavano una tutela limitata ai dipendenti di aziende che garantivano una notevole stabilità dei rapporti di lavoro e retribuzione superiore alla media a e non erano tenuti a realizzare alcuna forma di solidarietà con altri lavoratori. Quei regimi esonerativi sono stati ora quasi tutti soppressi.

L’interesse dei lavoratori era stato soddisfatto con l’istituzione di regimi previdenziali integrativi.

Varie sono le strutture dei regimi previdenziali aziendali preesistenti; a volte essi sono gestiti direttamente dal datore di lavoro, altre volte la loro gestione è affidata strutture con la soggettività autonoma. A volte un regime realizzata la loro funzione attraverso la stipulazione di polizze di assicurazione.

Regimi e erogano prestazioni previdenziali integrative rispetto a quelle dei regimi pubblici.

È per questo che più corretto parlare di previdenza complementare anziché soltanto di previdenza integrativa.

Poiché l’intero onere del fallimento dei regimi integrativi complementari è a carico dei datori di lavoro, le prestazioni di cui regimi devono essere considerate come retribuzione differita in funzione previdenziale.

I regimi previdenziali complementari sono da considerare attuazione di quella previdenza privata, che all’ultimo comma dell’art. 38 cost garantisce la libertà, debbono essere tutelati e favorita ai sensi dell’art. 47 cost.

Le forme di previdenza complementare concorrono all’erogazione di prestazioni previdenziali che assicurino mezzi adeguati alle esigenze di vita (2co, art. 38 cost). Complementari sono le prestazioni e non funzioni.

Dal punto di vista strutturale, le prestazioni previdenziali erogate da quei regimi devono piuttosto essere ricondotte al trattamento di fine rapporto.

II legislatore ha avviato la cosiddetta cartolarizzazione del trattamento di fine rapporto, prevedendo la possibilità di attribuire ai fondi gestori di forme di previdenza complementare titoli di credito con caratteristiche omologate.

La corte costituzionale ha ritenuto illegittimo costituzionalmente l’esonero, per il passato, di quelle somme dalla contribuzione previdenziale, confermando la loro natura retributiva e la irrilevanza della loro funzione previdenziale.

L’art. 1, commi 193 e 194, legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha introdotto, in luogo della contribuzione previdenziale ordinaria che sarebbe stata dovuta dal datore di lavoro sulle somme erogate per il finanziamento delle forme di previdenza complementare, un più elevato contributo di solidarietà.

La corte costituzionale con la sentenza n. 178 del 2000 ha ritenuto legittima tale imposizione.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori