Il lavoro domestico. Altro rapporto è quello di lavoro domestico, regolamentato dall’art. 2240 cc. e da leggi spe­ciali; deve ritenersi che siano lavoro domestico le prestazioni di servizi di carattere domestico finalizzati al funzionamento della vita familiare, sia che richiedano qualifiche specifiche, sia che richiedano qualifiche non specifiche, come quella di autista. Non è la natura della prestazione a qualificare il lavoro domestico, ma il fatto che la stessa si svolga nell’ambito di una co­munitĂ  familiare, di ampie dimensioni dove si convive, o di piccole dimensioni, come la famiglia in senso stretto. Ne consegue che non è di lavoro domestico la prestazione del cuoco per un ristorante, della cameriera a favore di un albergo, ecc..

Se la prestazione di lavoro domestico viene svolta in una convivenza, o comunitĂ  familiare, di ampie dimensioni, il la­voro domestico può essere assimilato a quello che si svolge in un’impresa, secondo quanto stabilito dall’art. 2239 cc.. Il problema si com­plica se la prestazione viene svolta a favore della famiglia in senso stretto; in questo caso, anche la prestazione meramente occasionale deve essere diretta, in quanto la direzione è necessaria al fine di tutela della privacy fa­miliare.

L’occasionalitĂ  come unica ipotesi di esclusione della subordinazione. Il criterio di distinzione non potrĂ  che essere quello della continuitĂ , con la contrapposizione, tuttavia, tra il lavoro subordinato ed il lavoro auto­nomo, senza che abbia alcuna rilevanza, nel settore, la parasubordinazio­ne. Ed, infatti, anche l’orario di poche ore la settimana vale a qualificare il rapporto come di lavoro subordinato imponendo il pagamento dei contributi previdenziali quale che sia il numero di ore di lavoro.

 

Lascia un commento