Lo sciopero è l’astensione organizzata dal lavoro di un gruppo di lavoratori subordinati, del settore pubblico o privato, al fine di tutelare diritti e interessi comuni. Esso rappresenta un menome sociale di grande diffusione nell’epoca moderna; esso segue gli sviluppi della realtà sociale.

Nell’accezione tradizionale lo sciopero indica l’astensione di lavoratori organizzati: questa infatti è la forma adottata dalla maggioranza dei lavoratori, che si uniscono per ottenere maggiori rivendicazioni.

I vari ordinamenti hanno approcciato diversamente nei confronti dello sciopero: l’ordinamento fascista considerava lo sciopero come “delitto“ quindi come reato; l’ordinamento liberale lo ha considerato come “libertà“, cioè lo Stato non può impedire e punire l’astensione dal lavoro.

Il nostro attuale ordinamento si è avvicinato allo sciopero come “diritto“, inerente in effetti ad un rapporto contrattuale fra datori e lavoratori.

La costituzione definisce lo sciopero nell’art. 40, subito dopo aver definito la libertà sindacale; lo sciopero deve essere esercitato nell’ambito e nel rispetto delle leggi che lo regolano. Esso presuppone sempre l’esistenza di un conflitto collettivo che presuppone una rivendicazione.

L’art. 40 segna la fine della concezione liberale e anche di quella autoritaria, laddove essi erano rispettivamente fondati sulla neutralità e sulla repressione dello stato.

Il riferimento costituzionale che rimanda lo sciopero alle leggi ordinarie ha creato una certa ambiguità, che per qualche tempo ha permesso la sopravvivenza della vecchia concezione repressiva.

L’intervento decisivo è stato posto dalla corte costituzionale che ha affermato la necessità del rispetto dei principi generali dell’ordinamento in mancanza di legge apposita. Tale riferimento è stato poi inteso anche come invito ad un’attività del legislatore in materia. Riguardo al diritto di sciopero c’è chi ne ravvede una riserva di legge relativa, anche se alcuni la negano addirittura.

 

Le interpretazioni dell’ art. 40 Cost.

Molte discussioni sono state fatte riguardo alla qualificazione giuridica del diritto di sciopero. Una parte della dottrina l’ha qualificato come un diritto potestativo, poiché i lavoratori, come parte di un contratto, possono, con espressione della propria volontà, interrompere la prestazione lavorativa; il datore sarebbe il soggetto solo passivo di tale situazione. Inoltre in questo senso lo sciopero dovrebbe essere necessariamente proclamato dl sindacato e, fatto questo, avrebbe valore e senso anche se effettivamente messo in opera da un solo lavoratore.

In una tale concezione lo sciopero potrebbe essere legittimo solo quando rivendichi un diritto inerente alla disponibilità diretta, escludendo così gli scioperi di solidarietà, politici e non contrattuali.

La dottrina è stata sottoposta a numerose critiche: l’autorizzazione data dal sindacato non sarebbe un vero e proprio avallo, poiché dato dal soggetto che la richiede; è in effetti la collettività che, vise le motivazioni dei lavoratori, proclama lo sciopero e ogni lavoratore è libero di aderirvi.

Un’altra opinione ha affermato che lo sciopero è un diritto di uguaglianza; ma tale considerazione si scontra con lo stesso ordinamento giuridico laddove esso permette a diversi lavoratori di aderire allo sciopero e corrisponde ai lavoratori trattamenti economici differenziati.

La pluralità di fattori da considerare ha indotto un Autore a tenere distinti la libertà di sciopero e il diritto allo sciopero. Per cui secondo tale orientamento l’art. 40 garantirebbe una libertà di sciopero, non limitando alle dirette disponibilità del datore, ma ponendo i soli limiti degli altri diritti costituzionalmente garantiti.

Tale teoria non convince quando giustifica, nei confronti del datore, la natura dello sciopero come potestà attribuita al lavoratore per la soddisfazione di un interesse altrui. Difatti non sarebbe possibile individuare un vero e proprio diritto alieno e, inoltre, se viene prospettata la sussistenza di una garanzia di libertà di azione dei lavoratori, lo stesso non può dirsi quando essa venga elevata a diritto. Detto questo infatti non sarebbe valida più la distinzione fra libertà e diritto di sciopero poiché non si può garantire l’una senza l’altro.

Il diritto di sciopero quindi verrebbe tutelato come libertà pubblica, per cui non è possibile incriminare il ricorso ad esso. Con tale concezione si vuole allargare la considerazione dello sciopero come diritto potestativo. Questa teoria è stata soggetta a critiche riguardo la qualificazione del diritto di sciopero fra i diritti assoluti; infatti tale considerazione andrebbe a scontrarsi col fatto che tale diritto è riconoscibile solo ai lavoratori subordinati.

 

La titolarità del diritto di sciopero

La titolarità del diritto di sciopero è stata lungamente discussa fin dalla promulgazione della costituzione; una dottrina prevalente ravvisava nell’art. 40 una dicotomia, dove fosse possibile ravvisare due distinti poteri: quello del sindacato, latore dell’interesse collettivo cui lo sciopero è finalizzato, e quello dell’individuo, titolare della libertà di astenersi dalla prestazione lavorativa.

Su questa base, un primo orientamento riconnetterebbe la sospensione della prestazione lavorativa direttamente alla dichiarazione sindacale, considerata una proposta di sciopero. Un altro orientamento valorizza l’astensione individuale come diritto potestativo del singolo. Un altro orientamento tiene distinta la fase individuale dalla fase collettiva, considerando l’ulteriore dichiarazione dello stato di agitazione, da considerarsi come atto collettivo in diretto contatto con la base. Tale orientamento lascia comunque intatta la natura di diritto individuale, ferma restando la proclamazione che è volta a rendere nota la situazione di conflitto anche al datore di lavoro.

Tutte queste teorie sono state di solito disattese dalla realtà sociale e dalla giurisprudenza.

Perciò attualmente lo sciopero è considerato un diritto individuale, sebbene debba essere necessariamente esercitato in via collettiva. Le prevalenti interpretazioni infatti tutelano il singolo dalle organizzazioni sindacali; facendo così infatti si dà importanza anche a quelle organizzazioni minori od occasionali. Nell’attuale ordinamento, poi, il sindacato può rappresentare solo i propri iscritti. La pretesa della dichiarazione è sostanzialmente collegata col preavviso ai datori di lavoro, in particolare per i servizi pubblici essenziali. Tale dichiarazione, in questo settore, corrisponde direttamente e nella maggior parte dei casi con la legittimità delle astensioni stesse.

 

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