L’attuale contratto collettivo e critica. Il contratto collettivo che assume il valore di una fonte dinamica, nel senso che può rinnovarsi periodicamente, è il contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali che si costituiscono sulla base della libertà riconosciuta dall’art. 39 co. 1 cost.. Tale contratto collettivo viene definito contratto di diritto comune nel senso che, in mancanza della legge sindacale, la stipulazione sarebbe espressione dell’autonomia contrattuale riconosciuta dall’art. 1322 c.c., con applicazione delle norme codicistiche in materia contrattuale.
La tesi non appare fondata, in quanto il contratto collettivo è espressione di un potere che deriva ai sindacati non dal codice civile bensì dall’ art. 39 co. 1 cost.; disposizione questa che nel riconoscere la libertà di organizzazione sindacale ammette anche quella di azione sindacale, mirante alla tutela del lavoro, della quale la parte normativa del contratto collettivo rappresenta la massima espressione.
I livelli della contrattazione collettiva. I contratti collettivi assumono diversità di livelli in corrispondenza della stessa organizzazione delle associazioni sindacali sia dei prestatori che dei datori di lavoro. Abbiamo così gli accordi interconfederali che sono stipulati dalle confederazioni dei lavoratori, da un lato, e dalle confederazioni dei datori, dall’altro. Abbiamo poi i contratti collettivi di categoria, stipulati dalle contrapposte associazioni sindacali, soprattutto a livello nazionale. Infine abbiamo i contratti aziendali, che possono a loro volta suddividersi in contratti collettivi d’impresa, se riguardano l’intera impresa ed in contratti collettivi di stabilimento, se riguardano una unità produttiva autonoma, di solito di ampie dimensioni, facente parte dell’impresa nel suo complesso. Il contratto collettivo aziendale può essere stipulato direttamente dall’imprenditore e dalle rappresentanze sindacali aziendali o unitarie, eventualmente con la partecipazione delle associazioni sindacali di categoria di entrambi.
A parte gli accordi interconfederali che disciplinano materie di carattere generale, i contratti collettivi di categoria e, con minore evidenza, i contratti aziendali si dividono in parte obbligatoria, che riguardo i soggetti contrattuali, e parte normativa, che si riferisce ai rapporti individuali di lavoro dei quali provvede alla regolamentazione.
La parte normativa e differenze rispetto al contratto normativo. Può dirsi che essa svolge la fondamentale funzione di determinare le condizioni dello scambio della forza lavoro, che i lavoratori a livello individuale non sono in grado di stabilire. Essa presenta degli aspetti in comune con il contratto normativo, dal quale, tuttavia si differenzia anzitutto per il fatto che detta le regole non soltanto per i rapporti futuri, come il contratto normativo, ma anche per quelli già costituiti al momento della stipulazione; altro elemento di distinzione sta nel fatto che mentre il contratto normativo è stipulato dagli stessi soggetti che costituiranno i rapporti regolamentati dal contratto normativo, la parte normativa del contratto collettivo è stipulato, per quanto riguarda i lavoratori, da soggetti, quali i sindacati, diversi da quelli che ad essa sono assoggettati, i singoli lavoratori.
La derogabilità in melius della legge, salvo ipotesi eccezionali ed inderogabilità in peius. La parte normativa del contratto collettivo può derogare soltanto in melius alla legge, salvo che la legge stessa non sancisca l’inderogabilità anche in melius a tutela d’interessi diversi da quelli dei lavoratori occupati. Le clausole del contratto collettivo comunque in contrasto con norme imperative di legge sono nulle ai sensi dell’ art. 1418 cc., assumendo in tal caso le clausole la natura contrattuale, sia pure nella specialità della struttura collettiva del contratto.
È viceversa regola generale che la parte normativa del contratto collettivo non possa subire deroghe in peius da parte dei contratti individuali; se non esistesse tale inderogabilità in peius il datore riuscirebbe ad imporre condizioni peggiorative ai dipendenti.
L’inadeguatezza delle categorie civilistiche. È facile e generale constatazione l’inadeguatezza del ricorso alla categorie civilistiche, anzitutto quella del mandato irrevocabile con rappresentanza.
Il mandato. Secondo una parte consistente della dottrina, il contratto collettivo verrebbe stipulato dalle contrapposte associazioni sindacali sulla base di un mandato con rappresentanza conferito dai rispettivi soci all’atto dell’iscrizione alle stesse associazioni. Ma il ricorso al mandato è del tutto inadeguato sia perché i lavoratori non possono dare mandato a stipulare in loro nome e per loro conto il contratto collettivo, non essendo titolari del relativo potere, sia perché il contratto collettivo, se fosse stipulato sulla base di mandati con rappresentanza si trasformerebbe in tanti contratti normativi quanti sono i rapporti di lavoro cui si riferisce con la possibilità di modifiche anche in peius alla stregua dell’art. 1372 c.c..
Diversità dei presupposti dell’art. 2077 cc.. La giurisprudenza ha fatto pragmaticamente riferimento all’art. 2077 c.c., in base al quale il contratto individuale non può apportare deroghe al contratto collettivo; la disposizione, tuttavia, si riferisce al rapporto tra contratto individuale e contratto corporativo, che come sappiamo è una fonte di diritto obiettivo, in quanto tale di natura del tutto diversa da quella degli attuali contratti collettivi.
Esclusione che l’art. 2113 cc. sia una norma ad hoc. Secondo altri il fondamento dell’inderogabilità in peius del contratto collettivo consisterebbe in una norma ad hoc, l’art. 2113 c.c. che nel sancire l’invalidità delle rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti derivanti da norme inderogabili comprende tra le stesse anche i contratti collettivi.
La spiegazione nella struttura asimmetrica del contratto collettivo. La spiegazione dell’inderogabilità in peius può aversi sulla base della considerazione del carattere asimmetrico della stessa struttura del contratto collettivo. Esso viene stipulato, dal lato dei datori, dall’associazione sindacale sulla base di mandati con rappresentanza, ammissibili perché i singoli datori sono titolari del potere della stipulazione dei contratti collettivi; dal lato dei lavoratori, che individualmente non sono titolari del potere di stipula del contratto collettivo, lo stesso viene stipulato dal sindacato sulla base di un potere proprio, originario rispetto a quello dei singoli lavoratori, conferito dall’art. 39 co. 1 cost.. Se i singoli lavoratori non sono parti dei contratti collettivi, non possono apportare deroghe in peius al contratto collettivo, a meno non dovesse ravvisarsi nello stesso contratto collettivo un’autorizzazione in tal senso.
La derogabilità in melius. La derogabilità ammessa è soltanto quella in melius per i lavoratori, sempre che dall’interpretazione del contratto collettivo non si accerti che le parti abbiano inteso precludere trattamenti migliorativi individuali. Da parte della giurisprudenza di cassazione, non perfettamente in linea con quella della corte costituzionale, trattamenti migliorativi a favore soltanto di alcuni dipendenti non sarebbero in contrasto con il principio della parità di trattamento, purché venga garantito a tutti il trattamento stabilito dal contratto collettivo e prevedendo un allineamento dei contratti individuali di lavoro alla disciplina collettiva solo nei casi in cui il contratto individuale di lavoro contenga disposizioni meno favorevoli per il lavoratore.
Con riferimento alle disparità di trattamento che si verificano ad opera del datore di lavoro nel corso del rapporto, l’attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un beneficio non può costituire titolo per conferirlo anche agli altri lavoratori, che si trovino nell’identica posizione; neppure può determinare l’insorgenza di un danno risarcibile.
Disparità e condotta antisindacale. Egualmente viene escluso che la disparità di trattamento da parte del datore costituisca condotta antisindacale, sempre che non esistano elementi che possano qualificare la disparità come volta a contrastare o limitare l’esercizio dell’attività sindacale.