La tutela previdenziale. La tutela del lavoratore assume rilievo non soltanto nei confronti del datore di lavoro, in considerazione dello stato di subordinazione, ma anche al ve­rificarsi di eventi che, incidendo sulla capacità di lavoro o di guadagno, diano luogo a situazioni di bisogno. E, tuttavia, la previden­za sociale appartiene anche ad un sistema diverso e più ampio che è il di­ritto della sicurezza sociale, o welfare state.

I modelli. Tra i diversi modelli di welfare state, tre assumono partico­lare rilievo: il modello universalistico, il modello residuale-assistenziale ed il modello corporativo.

Il modello universalistico, una volta affermato­ si in Inghilterra, secondo il piano Beveredige, che ne è stato l’ispiratore, è applicato soprattutto nei paesi scandinavi, e consiste nel massimo in­tervento dello stato, anziché del mercato, nella liberazione da bisogni fon­damentali dei cittadini o addirittura degli individui, in tutto l’arco della vita, dalla nascita alla morte. Tale si­stema comporta una spesa ingente per lo Stato che ha dato luogo, nei pae­si in cui è applicato, alla crisi fiscale.

Il modello assistenziale valorizza, invece, al massimo il mercato, nella convinzione che l’individuo, come produttore, debba essere in grado di soddisfare con le proprie risorse, i bisogni fondamentali; lo Stato svolge un ruolo seconda­rio, anzi residuale, fronteggiando quelle situazioni marginali in cui l’indi­viduo non sia in grado di provvedere a se stesso ed alla sua famiglia. L’as­sistenza che gli viene erogata comporta, tuttavia, un costo sociale, che è quello dell’emarginazione.

Il modello corporativo, di scarso spazio nei sistemi universalistici, è diretto a favore non del cittadino o dell’individuo, ma a favore dei lavoratori economicamente subordinati. Ad essi vengono garantite, nel caso di eventi che facciano venir meno la capacità di lavoro, prestazioni rapportate alle retribuzioni o reddito di lavoro per il mantenimento, tendenzialmente, del tenore di vita antece­dente al verificarsi dell’ evento.

Solidarietà di categoria, non nazionale. Proprio in quanto le prestazio­ni non sono uniformi, come negli altri due sistemi, quello corporativo non può basarsi sulla solidarietà nazionale, non essendo ammissibile che ricada sulla collettività il costo per prestazioni differenziate, tanto più ele­vato quanto più alte le retribuzioni o il reddito di lavoro. Ricade, vicever­sa, sugli stessi interessati, i produttori, non soltanto i lavoratori, ma anche i datori che delle prestazioni di lavoro sono i beneficiari.

 

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