Lo sciopero può assumere forme diverse in relazione alla durata, alla dimensione e all’estensione della sospensione del lavoro, anche perché nell’ esperienza sindacale italiana non è diffuso lo sciopero ad oltranza, che si concretizza in un blocco totale dell’attività produttiva per lungo tempo, fatto che, per realizzarsi effettivamente, presuppone una grande coesione sindacale, e una grande forza economica dello stesso, per aiutare i lavoratori a sopportare la mancanza di retribuzione (con le c.d. “casse di resistenza”).

E’ chiaro dunque che in mancanza di questi elementi in Italia gli scioperi non sono generalmente di lunga durata; è anzi ad esempio molto diffusa la prassi dello sciopero dimostrativo, il quale dura anche pochi minuti.

Anche se brevi, in relazione alla durata, gli scioperi possono comunque presentare modalità tali da arrecare pregiudizi ai datori, attraverso le cd. forme di lotta articolate.

Quelle più diffuse sono due: sciopero a scacchiera e sciopero a singhiozzo.

Nel primo lo sciopero viene effettuato a scaglioni tra i reparti di uno stesso stabilimento, mentre in altri si lavora normalmente; nel secondo si alternano nel tempo lavoro e astensioni.Spesso le due tipologie sono anche combinate tra loro.

Si è anche dubitato della legittimità di tali forme, soprattutto nei confronti dei lavoratori ce non si astengono; infatti non appare giusto che non possano essere soddisfatti quei lavoratori che prestano la loro opera presso reparti attivi, perché le astensioni degli altri reparti sono a quelli funzionalmente collegati.

La Corte Cost. però propende per la legittimità, tranne in quei casi in cui il datore può fornire l’esatta prova dell’illegittimità delle astensioni stesse.

Si pone qui la questione del limite del danno ingiusto: l’entità del danno arrecato dallo sciopero dovrebbe essere valutato in proporzione alle retribuzioni perdute dai lavoratori, o comunque mai maggiore di quello inerente alla semplice astensione dal lavoro.

Si richiamano in questa sede i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto che conferiscono al datore due diritti:

 Diritto alla conservazione dell’organizzazione aziendale.

  1. Diritto a rifiutare legittimamente prestazioni parzialmente o irregolarmente adempiute.

 Tale impostazione non sembra accettabile; è quantomeno improprio infatti richiamare principi quali buona fede e correttezza, laddove lo sciopero non rappresenta un momento legato all’esecuzione del contratto, quanto una sospensione dei suoi effetti.

Altri autori quindi preferiscono richiamare la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (Ghera), che, in base al principio di solidarietà, impone correttezza e buona fede in riferimento non agli obblighi contrattuali, quanto al rispetto della sfera giuridica altrui .

L’interesse qui tutelato è pertanto sempre quello della conservazione dell’organizzazione aziendale per il datore; lo sciopero quindi non deve causare danni tali da rendere impossibile la ripresa dell’attività produttiva per il futuro (inammissibilità del “luddismo”), così come conferma la giurisprudenza di Cassazione.

Anzi secondo quest’ultima lo sciopero non solo deve essere svolto in modo tale da non pregiudicare l’incolumità delle persone, ma anche la produttività dell’azienda, che è cosa ben diversa dalla produzione aziendale; quest’ultima è la produzione riferita all’immediato, mentre la prima è relativa allo stato dell’organizzazione aziendale per quando lo sciopero finirà.

Anche questo è un diritto di rango costituzionale, perché disciplinato dall’art.41 Cost., ma anche nell’art.4 (laddove per “lavoro” si deve intendere in senso ampio qualsiasi attività utile nel contesto sociale).

L’orientamento della Cassazione (sentenza 711/80) non è stato uniformemente applicato; infatti resta il problema fondamentale che comunque lo sciopero non può travalicare le norme relative alle obbligazioni, al quale si ricollega quello relativo alla legittimità del datore di rifiutare le prestazioni non complete a causa delle modalità dello sciopero, col conseguente diritto di negare la retribuzione.

Alcuni in giurisprudenza hanno ritenuto che il rifiuto in questione sia legittimo solo se lo sciopero ha provocato danni gravi alla produttività, mentre altri escludono solo i casi di difficoltà della gestione, mentre rientrerebbero tutti quelli di impossibilità oggettiva di eseguire la normale attività produttiva.

La mancanza di univocità è comunque facilmente spiegata dal fatto che si fa riferimento ad un criterio, quello di produttività, che non è oggettivo e quindi non è universale.

 In questo contesto rientra anche la problematica degli scioperi in impianti a ciclo continuo, i quali hanno la particolarità che per evitare danni irreparabili alle persone o alla produttività devono comunque restare in funzione, anche se al minimo.

Nella prassi qui si riserva sempre un certo numero di lavoratori al lavoro (c.d. comandate), attraverso specifici accordi aziendali; la loro osservanza è di solito garantita dal fatto che in caso contrario potrebbero realizzarsi gravi conseguenze sul piano oggettivo per gli stessi lavoratori, data la conseguente irreparabilità degli impianti.

Sorge talvolta il problema della cd. comandata totale, vale a dire della necessità che tutti i lavoratori occupati nell’impresa a ciclo continuo si astengano dallo sciopero. Si tratta di un’ipotesi limite in cui l’attività lavorativa, pure se espletata, dovrebbe essere considerata una prestazione solo apparente, poiché in produttiva di risultati economici per l’impresa.

Un’altra modalità di esecuzione dello sciopero è quella della non collaborazione, cioè dell’ostruzionismo; qui citiamo:

  • Sciopero pignolo: applicazione eccessivamente rigorosa, in senso ostruzionistico, dei regolamenti aziendali.
  • Ostruzionismo puro e semplice: modifica delle abituali attività nell’esecuzione della prestazione.
  • Sciopero delle mansioni: rifiuto di svolgere quelle mansioni accessorie estranee a quelle tipiche di appartenenza, anche se normalmente svolte.
  • Sciopero dello straordinario: rifiuto di svolgere lavoro straordinario.
  • Sciopero del rendimento: rallentamento concordato nello svolgimento della produzione (comprende anche lo sciopero del cottimo).

 In questi casi molti autori concordano nel ritenere che più di sciopero ex art.40 Cost. si dovrebbe configurare un vero e proprio illecito contrattuale, visto che infatti il lavoratore viola gli obblighi di correttezza e buona fede ed offre pertanto al datore una prestazione solo parziale o addirittura irregolare.

Un problema particolare qui è quello dello sciopero del cottimo, in particolare nel caso di cottimo misto (paga base + maggiore retribuzione legata al risultato).

Alcuni ritengono che in questo caso il datore debba sempre corrispondere la paga base, negando la maggiore retribuzione per mancanza del risultato produttivo ulteriore; altri, forse più correttamente, ritengono che poiché nel cottimo il raggiungimento del risultato è elemento essenziale che caratterizza il tipo di prestazione, il datore può rifiutare l’intera retribuzione quando il rendimento del lavoratore sia al di sotto dei minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi o perlomeno ridurla proporzionalmente rispetto al risultato effettivo.

Di conseguenza, ex art. 2104 cc, lo sciopero di rendimento al di sotto del minimo tabellare di cottimo si configura come adempimento inesatto e non dà titolo al lavoratore di ricevere l’intera paga base, potendo il datore di eccepire l’inadempimento ex art. 1460 cc. Ciò si verifica anche nel caso del cd. concottimo, quando a causa dello sciopero dei lavoratori cottimisti risulti non utilizzatele la prestazione di lavoratori vincolati dalla ritmo produttivo dei cottimisti stessi.

 

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