Definizioni

La regola di maggioranza assume significati e funzioni diverse:

A) “principio funzionale”, ossia la tecnica attraverso cui un collegio adotta una decisione;

B) “principio di rappresentanza”, e cioè mezzo attraverso cui si elegge il Parlamento e le altre Assemblee rappresentative(consigli regionali, provinciali, comunali, ecc.);

C) “principio di organizzazione politica”, e cioè criterio attraverso cui si strutturano i rapporti tra i partiti politici del Parlamento.

A) Nella prima accezione, la regola di maggioranza è lo strumento attraverso cui ampie collettività e organi collegiali (per es. il Parlamento) possono adottare una decisione: è adottata la decisione che ottiene il numero più elevato di consensi o di voti.

La regola opposta è quella dell’unanimità, che richiede il consenso di tutti i membri del collegio.

L’affermazione della regola di maggioranza presuppone l’eguaglianza di tutti i membri del collegio e quindi che il voto di ciascuno di essi sia dotato del medesimo valore di quello degli altri.

Tuttavia, la regola di maggioranza è intrinsecamente ambigua. Infatti, da una parte, è lo strumento attraverso cui i più sono sottratti alla tirannia dei pochi; dall’altro lato può essere il mezzo attraverso cui i più eliminano i meno. Chi ottiene la maggioranza può utilizzarla per eliminare i soggetti rimasti in minoranza, sicché esiste il rischio della tirannia della maggioranza.

Per contrastare il pericolo della tirannia della maggioranza le Costituzioni predispongono vari strumenti di tutela delle minoranze. In particolare in Italia:

  1. la rigidità della costituzione, che garantisce a tutti i cittadini certi diritti e limita i contenuti della funzione legislativa;
  2. la previsione che per decidere su certi oggetti non è sufficiente la maggioranza relativa o semplice (cioè ottenere il numero più elevato di voti), ma occorrono quorum deliberativi più elevati, come la maggioranza assoluta (pari alla metà più uno dei membri del collegio), oppure una maggioranza qualificata (corrispondente ad una porzione assai consistente dei membri del collegio, per esempio i 2/3). Prevedendo quorum deliberativi elevati sostanzialmente si rende difficile ai soggetti che formano la maggioranza di decidere da soli e si fa in modo che su certe questioni le minoranze siano, in qualche misura, associate alla decisione.
  3. l’attribuzione di determinate facoltà a gruppi di membri del Parlamento di ridotte dimensioni, e perciò si traduce nell’attribuzione di poteri di condizionamento procedurale alle minoranze.
  4. il decentramento politico, che è previsto dalla Costituzione attraverso l’istituzione di Comuni, Province e Regioni dotate di autonomia politica esercitata da organi eletti dalle rispettive collettività territoriali. In questo modo i soggetti politici che sono maggioranza nello Stato potrebbero non esserlo negli altri enti politici; il decentramento politico favorisce cioè l’esistenza di maggioranze diverse per ogni livello territoriale di autorità.

In ogni caso, quali che siano gli istituti operanti come limite della maggioranza, vi sono due circostanze che incidono sulle affettività della tutela delle minoranze e sulla garanzia del pluralismo: la cultura politica e la dimensione dell’intervento pubblico nell’economia nella società.

B) La seconda accezione di regola di maggioranza, intesa come “principio di rappresentanza” riguarda invece le modalità attraverso cui si forma il Parlamento e si determina la consistenza della maggioranza e delle minoranze in termini di seggi parlamentari. In questa seconda accezione la regola di maggioranza diventa lo strumento utilizzato per eleggere il Parlamento.

Democrazie maggioritarie e democrazie consociative

C) Per comprendere come la regola di maggioranza diventa “principio di organizzazione” dei rapporti tra i soggetti politici (terza accezione di regola di maggioranza), occorre distinguere le democrazie maggioritarie (UK, Francia, , Germania) dalle democrazie consociative (Olanda, Belgio).

Nelle democrazie maggioritarie la regola di maggioranza diventa “principio di organizzazione” dei rapporti tra i soggetti politici. Infatti, esse sono basate sulla contrapposizione tra due partiti o due coalizioni di partiti ovvero tra due leader politici in competizione per ottenere la titolarità del potere politico. Il corpo elettorale è posto di fronte all’alternativa secca tra un partito e l’altro oppure tra due candidati alla carica di Capo del Governo. La contrapposizione continua anche dopo le elezioni e la minoranza assume la fusione di opposizione. Quest’ultima consiste nel controllo politico del governo e della maggioranza, al fine di creare presso l’opinione pubblica e gli elettori le condizioni per vincere le successive elezioni e diventare così maggioranza in luogo della precedente. Il controllo dell’opposizione si realizza attraverso la critica dell’indirizzo politico del Governo e la prospettazione di un indirizzo politico alternativo al primo.

Viceversa le democrazie consociative tendono a incentivare l’accordo tra i principali partiti a fine di condividere il controllo del potere politico. I partiti, cioè, a livello elettorale competono ciascuno per proprio conto. Dopo le elezioni, però, i partiti tendono ad utilizzare la rispettiva forza politica per negoziare tra di loro e raggiungere dei compromessi politici. Pertanto la decisione è il risultato di un compromesso politico, in cui ogni parte ottiene qualcosa in cambio della rinuncia a qualcos’altro. Le minoranze, quindi, sono associate al potere politico perché partecipano alla formazione delle decisioni, sicché manca una funzione di opposizione.

Le minoranze permanenti

Non vi sono, però, solamente le minoranze politiche, ma esistono alcune minoranze permanenti. In particolare, la Costituzione italiana prevede:

  1. il divieto di discriminazione in ragione dell’utilizzazione di una lingua diversa da quella nazionale (art.6 minoranze linguistiche);
  2. il divieto di discriminazione in ragione della religione professata, è posto ha chiesto dall’art. 3.1 Cost. e trova svolgimento nei successivi artt. 7 e 8.
  3. il divieto di discriminazione in ragione dell’appartenenza all’una o all’altra razza (art.3.1 Cost.), destinato ad affermare una società multirazziale e multiculturale, e che ha già portato al riconoscimento legislativo di importanti di via gli stranieri residenti in Italia.

 

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