Problema tradizionale dibattuto è quello della qualificazione della legge di conversione, che può essere configurata come pura novazione della fonte o come mera convalida,.

Si prenda il caso della carenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza ove si ritenga che la legge di conversione si configuri quale novazione, tale vizio sarebbe irrimediabilmente assorbito dall’intervento parlamentare, che li sana e li rende inoppugnabili, mentre accedendo alla tesi della convalida il vizio sarebbe sindacabile, anche dopo lo conversione, poiché il decreto-legge rimarrebbe comunque nell’ordinamento. La dottrina dominante ha sempre preferito accedere alla tesi della novazione.

Nella sentenza n.29 del 1995, il giudice costituzionale ha ammesso la possibilità di sindacare il vizio dei presupposti del decreto-legge, almeno nei casi di evidente mancanza, anche successivamente alla conversione, negando l’efficacia sanante.

Le successive sentenze hanno confermato nel caso del decreto-legge convertito, il sindacato sulla sussistenza dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza, che deve limitarsi alla loro evidente mancanza, che non può essere sanata dalla legge di conversione, in quanto costituente un vizio in procedendo della stessa, infine la questione viene definitivamente chiusa dalla recentissima sentenza n.171 del 2007.

Ultima questione cui accennare è quella relativa all’articolo 77, secondo cui le camere possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Si tratta esplicitamente di una riserva di legge formale, nel senso che solo la legge disporre quest’intervento teso a limitare le difficoltà pratiche dipendenti dalla retroattività della decadenza per mancata conversione, stabilizzando gli effetti verificatisi nel periodo di provvisoria urgenza del decreto.

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