L’autore compie un’indagine in merito all’evoluzione del significato del termine Costituzione dal IV secolo a.C. fino ad oggi. Nel IV secolo a.C. si può ritenere già esistente una vera e propria dottrina politica espressa da pensatori come Platone ed Aristotele. In questo periodo si verifica la trasformazione della polis da luogo di esercizio dei diritti politici di cittadinanza in luogo a prevalente caratterizzazione economica e di scambio. La economicizzazione della polis determina il sorgere di un aspro conflitto tra ricchi e poveri che sollecita la nascita di una dottrina politica impegnata nella ricerca di ideali collettivi tali da superare le divisioni sociali. La paura di non riuscire a superare il conflitto sociale cioè il timore per la stasis induce a riflettere sulle forme organizzative e sui caratteri di fondo delle strutture istituzionali al fine di migliorarle e salvare la polis. E’ necessario cioè cambiare l’ordine esistente minacciato dalle divisioni sociali con il buon ordine della collettività cioè l’eunomia. Il buon ordine della collettività consiste in una struttura istituzionale tale da garantire la pace sociale. La dottrina politica nel IV sec. a.C. dunque cerca di elaborare un sistema di organizzazione e di controllo delle diverse componenti della società tale da garantire a tutti la pacifica appartenenza alla polis. Tale dottrina effettua la ricerca della forma di governo ideale tenendo conto di ciò che era avvenuto in Grecia nel passato. Nel V sec. a.C. ad Atene si era affermata la forma di governo democratico che si caratterizzava per il primato assoluto dell’assemblea di tutti i cittadini nell’assunzione delle decisioni rilevanti per la collettività, per il diritto di parola e di proposta entro l’assemblea attribuito ad ogni cittadino, per l’estrazione a sorte delle cariche pubbliche e delle magistrature, per l’alternanza annuale dei governanti, per l’obbligo di rendiconto pubblico da parte degli stessi governanti. La democrazia, dunque, si basava sull’uguaglianza. La dottrina politica del IV secolo a.C. deve verificare se il concetto di democrazia cui è sotteso quello di uguaglianza teorizzato nel V sec. a.C. era ancora attuale e poteva servire a superare il conflitto sociale e a creare il buon ordine collettivo. In questo contesto la dottrina politica del IV secolo a.C. comincia a parlare di politeia cioè di costituzione.
Politeia è per Fioravanti lo strumento concettuale di cui si serve il pensiero politico del IV sec. a.C. per enucleare il problema della ricerca della forma di governo adeguata per superare il conflitto sociale.
Aristotele usando una metafora, nella Politica, afferma che il coro può essere comico o tragico pur essendo composto dagli stessi elementi e al tempo stesso resta comico o tragico pur cambiando i propri elementi. Il coro cioè non si esaurisce nella somma dei suoi componenti perché ha un’identità più profonda che è rappresentata e racchiusa nelle regole della sua organizzazione. La politeia è per Aristotele come l’insieme delle regole di organizzazione del coro cioè l’essenza che garantisce l’unione di una collettività. In questo senso, dunque, per Aristotele la politeia altro non è che la oliteia intesa come costituzione è necessario verificare se quella di natura democratica vigente nel V sec. a.C. aveva ancora un senso.
Platone esprime un giudizio storico costituzionale negativo nei confronti della democrazia del V sec. a.C. perché è un regime politico, una forma di governo, che non si basa su una politeia cioè su una costituzione, un insieme di regole stabili. In essa, infatti, c’è un’anarchia piacevole e varia perché si tratta di una forma di governo provvisoria che necessariamente evolverà nella tirannide generata dalla estensione eccessiva dell’uguaglianza. Tali osservazioni di Platone confermate anche da altri passi della sua opera dimostrano che nel IV secolo a.C. è forte l’esigenza di stabilità e, pertanto, viene respinta la forma di governo democratico che per sua essenza è la più instabile. Ciò trova conferma anche negli scritti di Platone dedicati all’origine della Costituzione. Per Platone una vera e propria costituzione ovvero una buona costituzione politica deve essere strutturata come la costituzione dei padri. La patrios politeia cioè la costituzione degli antenati per Platone non nasce dall’imposizione di un principio politico vincente ma dal pacifico e progressivo comporsi di una pluralità di forze e tendenze. La buona costituzione, dunque, non deve avere origine dai vincitori cioè non deve essere una costituzione che abbia origine violenta e unilaterale ma deve avere un’origine compositiva e plurale. Ciò conferma che per Platone la costituzione democratica non rappresenta una buona costituzione in quanto esprime solo le istanze dei poveri che, vincendo, hanno conquistato il potere e, quindi, hanno soppresso una parte dei loro avversari imponendo la loro costituzione. Ma parimenti non sono buone costituzioni quella aristocratica e quella regia che sono nate nella stessa maniera cioè a seguito dell’impossessamento da parte dei vincitori della vita dello Stato. La buona costituzione, dunque, deve nascere dalla conciliazione delle diverse istanze dei vincitori e dei vinti e, quindi, deve essere una costituzione mista perché solo così può essere stabile.
Anche Aristotele auspica il ritorno alla costituzione dei padri e aggiunge che il recupero dell’unità della polis impone il superamento della sua economicizzazione che ha messo i ricchi contro i poveri. La economicizzazione della polis, infatti, secondo Aristotele ha funzionalizzato la forma di governo della polis a interessi particolari e determinati facendole perdere l’unità. Pertanto, per Aristotele è necessario rivalorizzare e rilanciare il significato politico ed etico della convivenza civile che deve rappresentare innanzitutto un progetto di perfezionamento morale oltre che materiale. In quest’opera di rivalorizzazione si deve, poi, inserire il recupero della costituzione dei padri soprattutto attraverso l’applicazione delle leggi di Solone del 594-593 a.C. che condensano in sé quella costituzione. Solone, infatti, fu un grande legislatore e l’arbitro del conflitto sociale tra ricchi e poveri e creò una costituzione media in cui tutti potevano riconoscersi a condizione di moderare le proprie pretese. Solone non si pose come leader dei ricchi oppure dei poveri mantenendo, così, una posizione mediana che gli consentì di creare una costituzione davvero stabile. Anche per Aristotele come per Platone la successiva costituzione democratica del V sec. a.C. nel momento in cui ha deviato dal modello delle leggi di Solone ha rotto l’equilibrio. Infatti, rincorrendo l’uguaglianza assoluta si è ammalata di demagogia ed ha espresso instabilità ed insicurezza degenerando nella tirannide.
La costituzione ideale è definita da Aristotele con il termine politia ad indicare una forma costituzionale che promuove e realizza il giusto equilibrio tra l’oligarchia e la democrazia, due estremi negativi che, tuttavia, incontrandosi producono un risultato positivo. La politia ripudia il metodo democratico della estrazione a sorte delle cariche pubbliche ma anche quello elettivo censitario delle oligarchie. Alle cariche pubbliche si accede attraverso l’elezione dei migliori ma sulla base di un censo basso. La politia si può sviluppare solo in un contesto sociale caratterizzato da una forte ceto medio cioè da un’ampia schiera di cittadini dotati di un possesso moderato che consenta di mediare nel conflitto sociale. Infatti dove il ceto medio è numeroso non si producono fazioni e dissidi tra i cittadini e, quindi, si può avere una costituzione stabile.
Ricapitolando sia Platone, sia Aristotele cioè gli esponenti della dottrina politica del IV sec.a.C., sostengono che il regime politico ideale è quello che non nasce dalla violenza e viene imposto dai vincitori ai vinti ma nasce da una mediazione delle tendenze e degli interessi della società. Per Aristotele questo regime è la politia e si fonda su un insieme di regole stabili in cui consiste la costituzione ideale che si identifica con la costituzione dei padri.