Se si guarda al diritto positivo italiano, chi vuole rinvenire un limite costituzionale dell’intera funzione legislativa ordinaria non deve mirare all’art. 70, bensì al primo comma dell’art. 3 Cost., là dove si proclama che “tutti i cittadini…sono uguali davanti alla legge”. Nel vigente diritto costituzionale è pacifico che anche la legislazione ordinaria debba conformarsi al principio generale stabilito dall’art. 3 primo comma, che perciò si risolve in un imperativo di eguaglianza dalle leggi stesse.

L’imparzialità della pubblica amministrazione e la soggezione dei giudici alla legge, da applicare in modi eguali per tutti, si fondano anzi su particolari e diversi precetti costituzionali: l’uguaglianza va ormai concepita come un vincolo comune a tutte le leggi ordinarie, quali che ne siano i destinatari ed i contenuti normativi.

Si intende che il vincolo in questione non mira a realizzare una parità di natura assoluta. Se così fosse, ne verrebbero precluse a priori quelle distinzioni e quelle classificazioni legislative, dalle quali dipende l’esistenza stessa dell’ordinamento giuridico. Quella voluta dal codice è invece un’eguaglianza relativa: cioè preclusiva delle arbitrarie discriminazioni fra soggetti che si trovino in situazioni identiche o affini. Ed è in questi termini che l’intera legislazione ordinaria si dimostra assoggettata al principio generale di eguaglianza.

Più precisamente, i conseguenti giudizi di legittimità costituzionale sul rispetto del principio di eguaglianza hanno per tema la ragionevolezza delle classificazioni legislative: ragionevolezza che riguarda piuttosto la coerenza delle differenziazioni in esame, valutata nel rapporto con il trattamento che le leggi riservino ad altre categorie o ad altre fattispecie.

Il ricorso alla legge-provvedimento, ovvero alle misure legislative del caso concreto, rimane costituzionalmente consentito, purché non si tratti di misure lesive del principio di eguaglianza. Non a caso l’art. 3 Cost. vieta espressamente l’adozione di leggi che distinguano secondo “condizioni personali” e dunque prevedano privilegi, favorevoli od anche odiosi, nei riguardi di determinati soggetti per i quali non soccorrano puntuali giustificazioni.

Specialmente negli ultimi tempi in effetti la giurisprudenza costituzionale si è appellata più volte ad un principio di ragionevolezza, concepito in termini ben più ampi del principio costituzionale di eguaglianza.

 

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