A cura dell’autorità rimettente le ordinanze instaurative del processo costituzionale incidentale devono essere notificate “alle parti in causa ed al pubblico ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonché al presidente del consiglio dei ministri o al presidente della giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello stato o di una regione”; e vanno altresì comunicate “ai presidenti delle due camere del parlamento o al presidente del consiglio regionale interessato”.

Del pari, non appena pervenute le ordinanze stesse, il presidente della corte costituzionale deve disporre che esse vengano pubblicate “nella gazzetta ufficiale”. Il momento della pubblicazione non riguarda il giudice a quo, ma gli altri giudici chiamati ad affrontare controversie identiche od analoghe. In particolare, sugli altri giudici incombe il dovere di verificare a loro volta se la questione sollevata sia per essi rilevante e non manifestamente infondata.

La notificazione dell’ordinanza mira a consentire che le parti del giudizio a quo si costituiscono tempestivamente dinanzi alla corte costituzionale. A sua volta la comunicazione alla camere mira a far si che il legislatore si dia carico del problema, magari accelerando procedimenti legislativi già in corso che potrebbero condurre a soluzioni diverse da quella contestata. La costituzione delle parti del giudizio a quo non è affatto indispensabile affinché la corte costituzionale si pronunci sul punto.

Anche per tale motivo si è sostenuto in dottrina che quello incidentale sarebbe “un processo senza parti” o, quanto meno, un giudizio “a parti eventuali”. Ma occorre aggiungere che le parti del giudizio a quo assumono una veste completamente diversa da quella detenuta nel procedimento principale.

Nel processi costituzionale di cui si discute i soggetti costituiti non possono mai rinunciare al giudizio della corte, in antitesi a ciò che si verifica nei procedimenti instaurati in via principale; e le sole facoltà che vengono loro conferite sono quelle consistenti nel sollecitare la corte ad emettere questo o quel tipo di decisione. In realtà, è solo in un senso assai largo che la legge n. 87 e le norme integrative ragionano di “parti” del processo costituzionale incidentale. Sarebbe preferibile parlare di “soggetti interessati” ovvero di “soggetti intervenienti”, sia pure in termini alquanto diversi dagli interventi previsti dall’art. 105 del codice di procedura civile.

La ragione per cui le disposizioni trattano costantemente di “parti” sembra risolversi nell’esigenza di contrapporre questa categoria di soggetti processuali a quegli intervenienti del tutto peculiari del processo costituzionale. Ma anche la corte ha rilevato che “il giudizio di legittimità costituzionale, pur ammettendo la partecipazione di parti private, si svolge al di sopra dei loro interessi…”

Il cosiddetto intervento del presidente del consiglio dei ministri risulta ancor più lontano dai correnti schemi processualistici. La corte ha argomentato che “questo intervento ha quindi un carattere suo proprio, come mezzo di integrazione del contraddittorio prescritto dalla legge”. Quale sia la ragione della presenza del presidente del consiglio non è tuttavia ben chiaro. Di fatto, gli interventi sono stati a senso unico, giacché il presidente lo ha fatto per difendere la validità della norma in discussione: il che ha indotto un’altra corrente dottrinale ad affermare che l’intervento medesimo avrebbe “natura di atto politico”.

Resta pur sempre fermo che il giudizio costituzionale incidentale non si risolve affatto nel tutelare talune delle posizioni soggettive in gioco nel giudizio a quo. È dominante la tesi che si tratti d’una giurisdizione di diritto oggettivo; tanto è vero che qualche autore non ha esitato a parlare d’una particolarissima forma di giurisdizione volontaria.

Pur riconoscendo che la sua attività “si svolge secondo modalità e con garanzie processuali ed è disciplinata in modo da rendere possibile il contraddittorio fra i soggetti e gli organi ritenuti più idonei”, anche la corte ha rilevato che essa “è chiamata a risolvere la questione di legittimità, astraendo dai rapporti con la controversia principale e persino dalla successive vicende processuali di questa”. Ciò non toglie che il procedimento principale e quello incidentale siano collegati necessariamente da una sorta di “cordone ombelicale”.

Il giudizio a quo rappresenta infatti la sede esclusiva dalla quale scaturiscono le impugnazioni in esame. La corte è perciò vincolata dalla corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato: in luogo delle domande di parte stanno infatti le domande del giudice a quo. La legge n. 87 prescrive che l’organo della giustizia costituzionale si pronunci “nei limiti dell’impugnazione”. Ma il “cordone” si spezza non appena instaurato il processo costituzionale. Dalla particolare controversia all’esame del giudice a quo la corte ricava talvolta elementi di fatto; senonché il suo giudizio può ben prescindere dalle peculiarità di quel caso specifico. Di qui la relativa autonomia del processo costituzionale.

 

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