Il procedimento con cui si pagano i creditori sociali allo scopo di rendere disponibile il patrimonio della società e consentirne la divisione fra i soci è la liquidazione. Tale liquidazione, quindi, non si propone di pagare i debitori (mezzo), bensì di rendere divisibile il patrimonio della società (scopo).

Della liquidazione non c’è bisogno:

  • se debiti sociali non esistono, potendosi procedere direttamente alla divisione.
  • se non vi sono beni da ripartire fra i soci.

La liquidazione, quindi, diventa indispensabile solo quando vi sono beni da ripartire, e questo proprio perché è diretta a rendere possibile il riparto.

Se questo è il concetto essenziale della liquidazione, tuttavia, la legge ne allarga la portata, includendovi due scopi accessori:

  • quello della conversione in denaro di tutti i beni sociali, in modo tale da rendere più agevole la divisione. Poiché però i soci possono disporre che la divisione dei beni avvenga in natura (art. 2283), è chiaro che possono conseguentemente restringere la monetizzazione dei medesimi a quanto è necessario al pagamento dei debiti sociali.
  • quello di procedere al saldo dei debiti sociali, anche se non esistono beni della società da dividere o per la parte che supera i beni medesimi. Perché questo possa essere fatto è necessario chiedere ai soci le somme da loro ancora dovute sui conferimenti, nonché le ulteriori somme dai soci illimitatamente responsabili.

La ragione di questa disposizione appare piuttosto ovvia, in quanto risponde all’interesse dei soci che tutte le pendenze relative alla gestione sociale siano soddisfatte, per evitare che quelli più facoltosi od onesti restino esposti all’aggressione dei creditori rimasti insoddisfatti.

In relazione a questo allargamento della nozione di liquidazione, è esatta l’affermazione consueta in dottrina, che la liquidazione si propone di definire i rapporti che si ricollegano all’attività sociale.

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