Nozione e caratteri essenziali

La società per azioni forma insieme alla società in accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata la categoria delle società di capitali. In essa per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio e la partecipazione sociale è rappresentata da azioni. La società per azioni è la forma prescelta dalle imprese di media e grande dimensione a capitale sia privato che pubblico. Le ragioni del largo successo della società per azioni possono essere compresi esaminando i suoi caratteri essenziali: personalità giuridica, responsabilità limitata dei soci, organizzazione corporativa, quote di partecipazione rappresentate da azioni.

La società per azioni, in quanto dotata di personalità giuridica, è per legge trattata come soggetto di diritto distinto dalle persone dei soci e gode perciò di una piena e perfetta autonomia patrimoniale. Solo essa è qualificabile come imprenditore. Nella società per azioni, tutti i soci non assumono alcuna responsabilità personale per le obbligazioni sociali; di queste risponde solo la società con il suo patrimonio. I soci sono obbligati solo ad eseguire i conferimenti promessi e quindi possono predeterminare quanta parte della propria ricchezza personale intendono esporre al rischio dell’attività sociale. Quindi i creditori possono fare affidamento solo sul patrimonio sociale per soddisfarsi.

La responsabilità limitata dei soci trova contrappeso nell’organizzazione di tipo corporativo della società per azioni. L’organizzazione è basata sulla presenza necessaria di tre distinti organi: assemblea, amministratori e collegio sindacale. Il funzionamento dell’assemblea è poi dominato dal principio maggioritario ed il peso di ogni socio in assemblea è proporzionato alla quota di capitale sottoscritto ed al numero delle azioni possedute (maggioranza per capitale).

Il potere decisionale in assemblea è quindi posseduto da chi detiene la maggioranza del capitale e quindi rischia di più. Le competenze dell’assemblea sono circoscritte alle decisioni di maggior rilievo, mentre la gestione dell’impresa sociale è nelle mani degli amministratori. Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da partecipazioni tipo omogenee e standardizzate. Le azioni infatti sono partecipazioni sociali di uguale valore e che conferiscono ai loro possessori uguali diritti.

Questo, oltre a rendere le azioni liberamente trasferibili, consente anche la loro circolazione attraverso documenti assoggettati alla disciplina dei titoli di credito. È così favorito il pronto smobilizzo del capitale investito ed il ricambio delle persone dei soci. Le possibilità di smobilizzo si accentuano quando le azioni sono quotate in un mercato regolamentato, con conseguente formazione di un prezzo ufficiale a sua volta reso possibile dal fatto che le azioni di una stessa società sono titoli omogenei e perciò fungibili tra loro.

Limitazione del rischio individuale dei soci e possibilità di pronta mobilitazione dell’investimento, favoriscono la raccolta di ingenti capitali di rischio di cui ha tipicamente bisogno la grande impresa. Il capitale minimo per costituire una s.p.a. è attualmente di 120.000 euro, cifra certamente non cospicua. Il principio cardine su cui si fonda il corretto funzionamento della società per azioni è il seguente: chi ha più conferito (e quindi più rischia) ha più potere, ma proprio perché rischia di più è pensabile che il potere sia esercitato in modo oculato.

La situazione cambia per le s.p.a. che fanno istituzionalmente appello al pubblico risparmio. La presenza degli azionisti imprenditori, a fianco degli azionisti risparmiatori con partecipazioni individuali microscopiche, altera profondamente i meccanismi di funzionamento della s.p.a. Il naturale disinteresse degli azionisti risparmiatori per la vita della società favorisce il dominio della stessa da parte di gruppi minoritari di controllo.

Infatti spesso nelle s.p.a. con azioni diffuse tra il pubblico, le assemblee sono dominate stabilmente da gruppi minoritari che detengono talvolta non più del 10 o del 20% del capitale sociale. È il gruppo minoritario degli azionisti imprenditori che nomina amministratori e sindaci e decide, direttamente o indirettamente, le sorti della società.

L’evoluzione della disciplina

La disciplina della società per azioni ha subito dal 1942 numerosi interventi legislativi sotto la spinta di una duplice esigenza:

a) quella di dare risposta ai problemi che il codice del 1942 non aveva saputo, voluto o potuto risolvere;

b) quella di dare attuazione alle numerose direttive emanate dalla comunità economiche europea per l’armonizzazione della disciplina azionaria delle società di capitali.

Il movimento di riforma è iniziato nel 1974 e poi è proseguito fino a sfociare nel 1998 e successivamente nel 2003 nella riforma della disciplina delle società di capitali non quotate e nel 2005 nella legge sulla tutela del risparmio.

Le novità sono:

A) è stato posto un freno al proliferare di minisocietà per azioni con capitale del tutto irrisorio. Fenomeno questo determinato dal fatto che il codice del 1942 fissava in un milione di lire il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione e l’inflazione monetaria aveva reso del tutto irrisoria tale somma. Il capitale sociale minimo per la costruzione della società per azioni è stato portato a 200 milioni di lire nel 1977 ed elevato oggi a 120 mila euro. ( Diecimila euro per le srl).

B) si è preso atto che la disciplina dettata dal codice del 1942 è inidonea ad assicurare il corretto funzionamento delle società per azioni che fanno appello sistematico al pubblico risparmio. E con una serie di interventi legislativi si è dettata una specifica disciplina per le società con azioni quotate in borsa.

Un primo intervento si è avuto nel 1974: vi è stata la possibilità di emettere una particolare categoria di azioni ( le azioni di risparmio) prive del diritto di voto e privilegiate sotto il profilo patrimoniale; certificazione dei bilanci da parte di un’autonoma società di revisione; e istituzione di un organo pubblico di controllo diretto a garantire la completezza e la veridicità dell’informazione societaria, la Consob.

Un secondo intervento riformatore si è poi avuto nel 1998: l’obiettivo di incentivare l’afflusso del risparmio gestito verso le società quotate, nonché di valorizzare il ruolo attivo degli investitori istituzionali come correttivo del prepotere dei gruppi di comando minoritaria, costituisce il motivo ispiratore di fondo della riforma culminata nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Tuf) emanato con il d.lgs. 24-2-1998, n. 58, che ha mandato in pensione la previgente normativa in materia.

C) l’esigenza di modernizzare la disciplina delle società per azioni non quotate e delle altre società di capitali ha portato da ultimo ad una riforma organica del disciplina generale delle società di capitali (d.lgs.17-1-2003, n.6).

Obiettivo di fondo della riforma è quello di semplificare la disciplina delle società di capitali e di ampliare lo spazio riconosciuto l’autonomia statuaria al fine di favorire la crescita e la competitività delle imprese italiane anche su mercati internazionali dei capitali.

 

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