Per comprendere quando si ha società in accomandita semplice occorre indagare quel è stata la volontà delle parti, e se la diversa responsabilità disposta per i soci abbia solo carattere estrinseco, come avviene nella società semplice, oppure penetri nell’intima struttura del contratto.

Questo modello di società risale al medioevo, quando rappresentò il primo esperimento attraverso il quale il mondo dei mercanti riuscì a coinvolgere i patrimoni di soggetti estranei alla mercatura nel finanziamento delle attività d’impresa, senza ricorrere al mutuo. Ne nacque appunto la formula di contratto di società tra ineguali, in forza della quale i primi trovavano i capitali senza spogliarsi della gestione dell’impresa ed i secondi partecipavano agli utili dell’impresa senza incorrere nella responsabilità illimitata.

Alla società in accomandita semplice si applica la disciplina della società in nome collettivo (art. 2315), con quelle necessarie deviazioni che risultano dalla presenza di una categoria di soci distinta da quella dei soci in nome collettivo. Si hanno infatti:

  • soci accomandatari, che hanno una posizione identica a quella dei soci in nome collettivo (art. 2318 co. 1): oltre al conferimento, infatti, sono tenuti all’obbligo di non concorrenza, ed incontrano la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (art. 2313 co. 1).
  • soci accomandanti, che sono obbligati unicamente al conferimento e che rispondono nei confronti dei terzi nei limiti del medesimo (art. 2313 co. 1). In conseguenza di questa minore responsabilità, chiaramente, sono sottoposti ad un trattamento speciale.

L’art. 2316 dispone che il contratto sociale deve indicare quali sono i soci accomandanti e quali quelli accomandatari.

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