L’attività di impresa è un’attività di relazioni in un mercato che vede coesistere più imprenditori che producono e/o distribuiscono beni o servizi uguali o simili. Ciascun imprenditore può utilizzare uno o più segni distintivi che consentano di individuarlo sul mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti.

I principali segni distintivi dell’imprenditore sono:

  • la ditta, che contraddistingue la persona dell’imprenditore nell’esercizio dell’attività di impresa; detta anche nome commerciale;
  • l’insegna, che individua i locali in cui l’attività di impresa è esercitata;
  • il marchio, che individua e distingue i beni o i servizi prodotti.
  • sempre più rilievo sta acquistando il nome a dominio, cioè il sito internet aziendale[1].

I segni distintivi hanno la funzione di favorire la formazione ed il mantenimento della clientela in quanto consentono ai consumatori di distinguere fra i vari operatori economici e di effettuare scelte consapevoli. Si definiscono collettori di clientela.

Intorno ai segni distintivi ruotano vari interessi:
– l’interesse degli imprenditori:

– di dotarsi di segni che abbiano spiccata forza distintiva ed attrattiva e di precludere ai concorrenti l’uso di segni similari idonei a sviare la propria clientela;

– di poter liberamente cedere ad altri i propri segni distintivi, in modo da monetizzare il valore economico di tali segni;

– l’interesse di coloro che con essi entrano in contatto (fornitori, finanziatori e consumatori) a non essere tratti in inganno sull’identità dell’imprenditore o sulla provenienza dei prodotti immessi sul mercato.

– il più ampio interesse a che la competizione concorrenziale si svolga in modo ordinato e leale. Questa finalità è l’obiettivo a cui tende la regolamentazione dei segni distintivi.

Nel nostro ordinamento i tre segni distintivi, ditta, insegna e marchio, sono disciplinati in modo differente, ma è fuor di dubbio la centralità del ruolo del marchio. Infatti, oltre alla disciplina del codice civile riservati a tutti e tre, il marchio è disciplinato anche dal codice della proprietà industriale, d.lgs. n. 30 del 10/02/2005 che sostituisce la legge marchi del 1942.

Dalle tre discipline è possibile desumere dei principi comuni, espressione della funzione comune dei segni distintivi e dell’identità degli interessi coinvolti:

  1. l’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi, ma è tenuto a rispettare determinate regole ( verità, novità, capacità distintiva ) , per evitare inganno e confusione sul mercato;
  2. l’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi; è un diritto relativo e strumentale alla realizzazione della funzione distintiva e non un diritto assoluto: il titolare di un segno distintivo non può impedire che altri adottino lo stesso segno distintivo quando, per la diversità delle attività di impresa o per la diversità dei mercati su cui operano, non vi è pericolo di confusione o sviamento della clientela;
  3. l’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi, purché la circolazione dei segni non tragga in inganno il pubblico.

Da questi principi emerge che i tre segni distintivi tipici dell’imprenditore sono tutelati sul piano patrimoniale, ma in modo relativo e funzionale. Ciò rende controverso se i segni distintivi possano essere considerati beni immateriali e, quindi, si possa parlare di diritto di proprietà su un bene immateriale.

Visto che ormai la dottrina accetta il concetto di proprietà limitata e funzionale, in presenza dei segni distintivi si può parlare di proprietà industriale.

[1] Nome a dominio. Il nome a dominio si crea mediante registrazione presso l’autorità di registrazione. L’organizzazione mondiale delle autorità di registrazione fa sì che non esistano due nomi a dominio identici. Il codice della proprietà industriale ha introdotto una disciplina dei nomi a dominio, per cui è possibile tutelare il nome a dominio contro l’uso di segni distintivi confondibili mediante l’applicazione della disciplina sui segni distintivi.

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