Quando l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione, retto dal presidente scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, qualora non sia stato già nominato dall’assemblea. In tal caso l’attività è esercitata collegialmente.

Le relative decisioni devono essere perciò adottate in apposite riunioni alle quali devono assistere i sindaci. E con la riforma del 2003, la disciplina del consiglio di amministrazione è stata integrata e modificata rispetto a quella del 1942. Lo statuto ora può prevedere che le riunioni del consiglio di amministrazione avvengano anche mediante mezzi di telecomunicazione.

L’attuale disciplina stabilisce che il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente dello stesso, il quale ne fissa anche l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché tutti gli amministratori siano adeguatamente informati sulle materie iscritte all’ordine del giorno. Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, salvo che lo statuto non richieda un quorum più elevato.

Le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti (voto per teste). L’atto costitutivo può prevedere una maggioranza diversa. Non sono ammessi voti per rappresentanza. Le deliberazioni adottate devono risultare da un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione. La riforma del 2003, ha modificato la disciplina dell’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, la cui impugnazione era in passato espressamente consentita in un solo caso: delibera adottata col voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi.

Possono infatti essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L’impugnativa può essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale (ma non dai soci) entro 90 giorni dalla data della deliberazione. Si applica la disciplina del solo procedimento di impugnazione prevista per le delibere assembleari.

Quando la delibera consiliare lede direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera. Si applica in tal caso, in quanto compatibile, l’intera disciplina delle delibere assembleari annullabili. L’annullamento delle delibere consiliari non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle stesse.

La delibera del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo, qualora possa recare danno alla società (danno potenziale), è impugnabile non solo quando l’amministratore interessato ha votato ed il suo voto è stato determinante, ma anche quando sono stati violati gli obblighi di trasparenza, astensione e motivazione. L’impugnazione può essere proposta entro 90 giorni dalla data della delibera, dal collegio sindacale, dagli amministratori assenti e dissenzienti, nonché dagli stessi amministratori che hanno votato a favore se l’amministratore interessato non abbia adempiuto gli obblighi di informazione sopra indicati.

La società può agire contro l’amministratore per il risarcimento dei danni derivanti dalla sua azione o omissione.

 

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