Confina con tale ordine di questioni, l’altra che si interroga sulla possibilità di fondare nel nostro sistema, alla luce della normativa della buona fede oggettiva, una generale “exceptio doli” la quale consenta di paralizzare, nelle circostanze del caso, tutti quei comportamenti che, pur rientrando in apparenza nell’adempimento dell’obbligazione, siano palesemente idonei a pregiudicare irreparabilmente gli interessi di una delle parti del rapporto. Esemplare è il caso del soggetto che aveva intimato un precetto di pagamento approfittando della svista del debitore, il quale aveva omesso di firmare un assegno circolare tempestivamente consegnato né era stato dalla controparte avvisato dell’errore materiale agevolmente rimediabile.

Il ricorso alla correttezza contribuisce alla regolamentazione di alcuni fenomeni contrattuali nuovi, di cui si contesta l’utilità economica ma che rendono più difficili i tradizionali controlli anticipati. Si sa che sui doveri integrativi si è formata una vasta letteratura. Sono esemplari soprattutto le categorie dei doveri di avviso e di protezione o di sicurezza.

E’ noto che tali doveri ambiscono a non confondersi con i doveri accessori alla prestazione, la cui autonomia è controversa. Si afferma difatti che i veri e propri doveri integrativi possano assumere un rilievo del tutto autonomo rispetto all’adempimento della prestazione dedotta tipicamente nel singolo rapporto. Tra i casi più significativi può ricordarsi il ferimento dei dipendenti della banca in seguito a rapina.

La banca fu considerata contrattualmente inadempiente per aver omesso di dotarsi di efficienti sistemi di sicurezza, sebbene essi fossero universalmente impiegati nel settore. Il tratto unificante fu costituito dalla teoria della buona fede integrativa. Si pensi poi alla casistica in materia di danni subiti dagli ospiti di un albergo o di altri locali aperti al pubblico: i casi del cliente che cade per un avvallamento del terreno o per la mancanza di corrimano sono stati spesso decisi sulla base dell’interpretazione della natura del contratto.

La descrizione delle figure in cui il canone della buona fede oggettiva ha trovato tipica o ricorrente applicazione può farsi anche alla stregua di un’analisi che tenga conto del peculiare rilievo che, in relazione al contenuto del singolo tipo contrattuale, possono assumere taluni comportamenti non predeterminati puntualmente. In materia assicurativa i casi guida si riferiscono: all’indebita sospensione del rapporto nei casi in cui la prassi seguita dall’assicuratore nella riscossione dei premi sia contraria a correttezza; al superamento dei limiti del cosiddetto massimale di polizza nei casi in cui l’assicuratore sia inadempiente con violazione della regola della buona fede oggettiva.

Ma è noto che la casistica più nutrita e più caria si è formata con riguardo all’area dei rapporti di lavoro subordinato, ove maggiore è la conflttualità sociale e più diffuso è l’equivoco di scambiare la clausola generale con un espediente allo scopo di dare libero ingresso alle contrapposte ideologie degli interpreti. In un contesto che qui è richiamato soltanto per un confronto con la disciplina degli altri rapporti, esemplare è l’indirizzo relativo ai limiti del diritto di sciopero: il riferimento agli articoli 1175 e 1375, che già furono invocati al fine di sindacare le forme di sciopero considerate irregolari sembra ormai in declino.

Il tema della vendita è invece problematico per ragioni strettamente storico dogmatiche, poiché l’impegno del venditore sembra esaurirsi sul piano delle garanzie per vizi e per evizione; e queste ultime, quale che sia la ricostruzione prescelta, non si lasciano agevolmente ricomprendere nel quadro dei comportamenti dovuti con riguardo alla fase dell’esecuzione delle obbligazioni nascenti da contratto.

Altra rilevante applicazione riguarda il contratto di società per azioni, ove, con riferimento alle decisioni della giurisprudenza, si ricordano le pronunce di annullamento della deliberazione presa con abuso del diritto di voto. Uno studio autonomo deve essere dedicato alle nuove figure di contratti. Nel caso della cessione globale di crediti al factor, con il contratto di factoring, si è affermato che anche il debitore ceduto deve informare il factor in merito all’inesistenza del credito: i canoni della correttezza e della buona fede consentono di ricondurre entro la sfera della responsabilità contrattuale quei comportamenti omissivi che creino un affidamento incolpevole nel factor e lo inducano quindi a non prendere le normali precauzioni a cui altrimenti egli avrebbe fatto ricorso nei confronti del cedente.

In materia di franchaising le pratiche abusive già si manifestano nella fase di conclusione del contratto, ove si proceda alla raccolta di somme di denaro con la promessa ci cospicui guadagni a mezzo di formule o tecniche distributive che alla prova dei fatti si dimostrano fondate sul nulla. Ancor più significativa è l’area delle nuove formule di garanzia dei crediti, sempre più diffuse anche in funzione di necessario sostegno alle transazioni commerciali sovranazionali.

Così con riguardo alla fideiussione omnibus, si è propensi a considerare derogabile l’art. 1956, nel senso che sia possibile far credito al terzo, senza speciale autorizzazione del fideiussore, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo siano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Nel caso di contratto autonomo di garanzia torna a riproporsi la figura della exceptio doli, nell’intento di togliere qualsiasi incentivo al garante che non si opponga alla pretesa della parte che illecitamente cerchi di trarre ugualmente profitto dal meccanismo inerente alla garanzia autonoma.

La normativa di correttezza tende a superare la soglia dell’esecuzione di un rapporto obbligatorio preesistente: e sempre più spesso è richiamata, in funzione di controllo o di limite, con generale riguardo all’esercizio di quelle posizioni che sono state descritte per mezzo della suggestiva immagine dei poteri privati o delle autorità private. Sempre più ferma si fa la consapevolezza che la normativa della buona fede è in grado di operare con riguardo a tutti i rapporti giuridici, ivi compresi quelli di cui sia parte la pubblica amministrazione.

A ben vedere si tratta di un’estensione dell’indirizzo che può dirsi prevalente con riguardo alla disciplina del rapporto obbligatorio già sottoposto alle regole del diritto privato generale; e, in maniera più specifica, con riguardo a quel che in linea di principio qualsiasi soggetto può esigere dalla parte contrapposta nella fase di attuazione del vincolo.

 

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