Con riguardo al comportamento del creditore assume rilievo costante e tendenzialmente univoco l’esercizio della pretesa. Con riguardo al comportamento del debitore viene in considerazione l’adempimento, ossia l’esatta esecuzione della prestazione dovuta. I due comportamenti sono le due facce di un fenomeno unitario e nel loro insieme costituiscono il contenuto minimo essenziale dell’obbligazione e consentono di ricostruire in maniera integrale la disciplina del codice che viene definita come l’attuazione del rapporto obbligatorio.

Debitore e creditore sono accomunati da una disposizione di carattere generale che impone loro di comportarsi secondo le regole della correttezza ex art. 1175. La ricerca del contenuto della clausola nel nuovo quadro costituzionale, secondo il metodo sistematico di interpretazione, ha consentito di non considerare automaticamente soppressa l’intera norma contro la sensazione che quest’ultima, la quale pure è spesso identificata con un fondamentale principio di solidarietà, fosse inseparabile dall’ideologia della solidarietà corporativa.

Una delle prime sentenze della Cassazione escludeva che le regole di correttezza e di buona fede oggettiva potessero operare al di fuori della violazione di diritti altrui già riconosciuti da altre norme. Nella letteratura giuridica è ben presto prevalso un indirizzo sicuramente ispirato al riconoscimento della piena efficacia della regola, in un quadro di generali direttive che non si identificano con ideologie di parte ma neppure rinviano a un generico e banale galantomismo.

Prevalente anche in Italia è la teoria di origine tedesca della possibile coesistenza di una serie di obblighi imposti anche al creditore e destinati a integrare il contenuto del rapporto obbligatorio quale fenomeno giuridico caratterizzato, almeno in linea di tendenza, da una struttura complessa. Secondo una linea di pensiero si è affermato ancora più radicalmente che dovrebbe evitarsi ogni artificioso irrigidimento dell’assetto strutturale del rapporto anche al fine di consentire alle regole di elastiche di operare con massima duttilità, in relazione alle circostanze, nella fase di attuazione del rapporto.

Sarebbe possibile in tal modo valutare in termini effettivi, sia i limiti posti all’esercizio legittimo del credito, sia l’intera serie dei comportamenti che rientrano nelle reciproche posizioni di diritto e di obbligo. I fautori più conseguenti della costruzione complessa del rapporto parlano della correttezza come fonte di obblighi; coloro che assumono un atteggiamento improntato a una maggiore semplicità ricostruttiva pongono l’accento soprattutto sui criteri di valutazione.

Discussa, all’interno di entrambi gli indirizzi di pensiero, è l’opinione di una funzione correttiva, poiché l’espressione evoca l’immagine di un giudice in ultima analisi completamente affrancato dalle più specifiche regole vincolanti dell’ordinamento. Tra le discussioni della nostra giurisprudenza sembra incline a una valutazione comparativa degli interessi delle parti, con eventuale riesame delle conseguenze che a prima vista deriverebbero da una rigida applicazione dello stretto diritto.

In base al criterio di contemperamento degli interessi, il comportamento secondo buona fede e correttezza è parso improntato a uno scopo di salvaguardia della posizione dell’altra parte del rapporto. Le opinioni sembrano dunque convergere nell’attribuire alle regole della correttezza l’attitudine a dare e a determinare pienezza di contenuto del rapporto obbligatorio nel suo insieme; e, più in particolare, le funzioni: di fissare da un lato l’ampiezza dell’obbligo; di limitare e di controllare dall’altro l’esercizio del diritto di credito, nel contesto di un approfondimento della figura dell’abuso del diritto.

La concretizzazione del principio si compie quindi in una triplica direzione: con riguardo alla posizione del creditore; con riguardo alla posizione del debitore; con riguardo alla posizione di entrambi. Le decisioni della giurisprudenza italiana si sono fatte più numerose con il passare degli anni. Sembra fare eccezione la sentenza della Cassazione 1987\3480, ove si esclude che la buona fede oggettiva sia fonte di integrazione del contratto, sebbene si ammetta che in base a una tale clausola sia possibile fondare obblighi ulteriori non previsti ma funzionali alla puntuale attuazione del programma negoziale: il caso riguardava il cantante Celentano che, secondo i giudici a torto pretendeva di dilatare gli obblighi presi dalla controparte fino a ricomprendere lo sfruttamento, oltre che del nome, anche dell’immagine.

Alcune massime ripropongono che la buona fede e la correttezza possano applicarsi soltanto quando si accerti l’esistenza di situazioni già protette da specifiche disposizioni, così da condurre a svuotare la normativa elastica di qualsiasi efficacia precettiva autonoma. Nel complesso piò dirsi che nella nostra esperienza sono rare le decisioni le quali sembrano presupporre un’interpretazione della clausola generale in funzione di limite o di controllo rispetto all’esercizio, talvolta considerato abusivo, del credito.

Alle valutazioni in termini di massimizzazione del benessere collettivo è invece legata la teoria dell’inadempimento efficiente: la differenza con le argomentazioni che utilizzano la clausola della buona fede oggettiva consiste nell’abbandono di qualsiasi esigenza di giustificare il mancato adempimento in base a una comparazione tra valori non soltanto economici ma anche giuridici.

L’inadempimento, utile al debitore che ha trovato occasioni migliori, purchè sia risarcito e quindi non pregiudichi il creditore, può condurre nel complesso a un risultato economicamente più vantaggioso per tutti rispetto a quello che si sarebbe ottenuto con l’adempimento. Le opinioni sull’inesigibilità sono tuttavia divergenti.

Vi è chi evita di pronunciarsi sull’abuso del creditore e piuttosto ragiona in termini di integrazione del rapporto alla stregua della buona fede; altri rilevano piuttosto che la clausola generale ben può escludere la doverosità del comportamento, sebbene, a rigore, non esistano gli estremi della prestazione: difatti, l’eseguibilità della prestazione è nozione distinta dall’esigibilità.

 

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