Se il creditore persiste nel rifiuto, esistono i requisiti per il passaggio alla procedura di definitiva liberazione del debitore anche contro o senza la volontà del creditore. Nel caso di cose mobili la liberazione coattiva del debitore avviene per il tramite del deposito da eseguirsi: se si tratti di titoli di credito o di somme di denaro presso la cassa depositi e prestiti oppure presso un istituto di credito; se si tratti di altre cose mobili, presso stabilimenti di pubblico deposito, ove sia possibile e non esistano controindicazioni, altrimenti presso altro locale idoneo, individuato con decreto del pretore su richiesta della parte interessata.

La procedura del deposito deve essere resa nota al creditore affinché egli possa ancora ricevere la prestazione. La liberazione difatti è condizionata all’adesione del creditore; e soltanto nel difetto di quest’ultima è necessaria la pronuncia di convalida del deposito con sentenza passata in giudicato. Qualora si tratti di beni immobili il deposito non è palesemente possibile.

E’ prevista la misura del sequestro, a cui consegue la nomina di un sequestratario. La presenza di quest’ultimo consente di individuare un soggetto a cui l’immobile può essere consegnato con la stessa efficacia liberatoria della consegna al creditore. Si può pertanto parlare di un sequestro liberatorio, con efficacia a partire dalla consegna del bene al sequestratario.

Nel caso delle obbligazioni di fare nulla dice la legge sulla procedura liberatoria coattiva del debitore. Il debitore potrebbe liberarsi con il passaggio in giudicato di un’apposita pronuncia del giudice, corrispondente a quella richiesta nel caso delle obbligazioni di consegnare beni mobili o immobili.

L’adempimento del terzo

Ha efficacia estintiva dell’obbligazione e comporta la liberazione del debitore l’ipotesi in cui l’interesse del creditore sia soddisfatto da un terzo (1180). L’intervento del terzo è possibile sul presupposto che il creditore non abbia un interesse a ricevere la prestazione personalmente dal debitore (1180 comma1). In particolare si è precisato che l’interesse deve essere apprezzabile oggettivamente e che tale valutazione non è ristretta alla ipotesi in cui abbia rilievo la competenza professionale o l’organizzazione imprenditoriale di chi si appresti ad eseguire la prestazione ma si estende a tutti i casi di minor sicurezza sull’esito finale.

L’altra ipotesi, in relazione alla quale è consentito al creditore di rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, è prevista con riguardo alla posizione del debitore che potrebbe non gradire l’intervento del terzo, tanto più che il debitore sarebbe bensì liberato nei confronti del creditore ma potrebbe ancora essere obbligato con il terzo. L’interesse del debitore a liberarsi di persona non assume peraltro carattere di un diritto: l’ordinamento dà prevalenza all’interesse del creditore a essere comunque soddisfatto, sia pure per mezzo dell’intervento del terzo.

L’interesse del debitore è protetto soltanto con la previsione della facoltà di manifestare la sua opposizione al pagamento del terzo. Il comportamento del creditore che non riceva la prestazione senza motivo legittimo può considerarsi abusivo e può costituire il presupposto per la produzione degli effetti di mora.

Tra l’adempimento del terzo e l’adempimento della prestazione dovuta sembra esistere una palese distinzione di struttura, che peraltro non è da tutti riconosciuta né da tutti riconosciuta né da tutti è riconosciuta negli stessi termini. Di adempimento può parlarsi soltanto nell’ipotesi in cui il creditore consegua quel che gli è dovuto per il tramite del comportamento a cui il debitore è vincolato. L’interesse che è a fondamento del diritto può essere bensì soddisfatto in base al solo conseguimento del risultato atteso, ma in tal caso l’estinzione dell’obbligazione avviene per altra via.

Per affermare che l’adempimento del terzo si pone sullo stesso piano dell’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore è necessario presupporre che tutti i terzi, nei casi in cui non esista un interesse apprezzabile del creditore in senso contrario, sia conferita in via automatica una legittimazione generica all’adempimento del debito altrui. Più lineare sembra essere la spiegazione che guarda al risultato pratico dell’intervento del terzo. Ma anche questa ricostruzione non trova consensi unanimi. P

iù lineare sembra essere la spiegazione che guarda al risultato pratico dell’intervento del terzo. Ma anche questa ricostruzione non trova consensi unanimi. E’ evidente del resto che l’adempimento del terzo non è, a differenza del vero adempimento un atto dovuto. Una tale distinzione giustifica la costruzione dell’adempimento del terzo come atto di autonomia privata, sebbene si sia affermato che l’intervento del terzo sarebbe pur sempre diretto a dare esecuzione ad un obbligo preesistente.

Le norme che regolano il pagamento non si applicano all’atto del terzo in quanto tale. Ad esempio anche i vizi della volontà possono assumere pieno rilievo secondo le regole generali. Ma si afferma che l’applicazione della disciplina prevista per gli atti di autonomia sarebbe ristretta all’ipotesi in cui il terzo disponga della propria sfera giuridica. E si aggiunge che, per ogni altro aspetto, le regole applicabili sono le stesse di un comune pagamento, sicché l’atto avrebbe una duplice natura: esecutiva e negoziale.

L’effetto dell’intervento del terzo comporta una attribuzione patrimoniale che senza dubbio è strettamente legata all’esistenza di un rapporto obbligatorio. L’inquadramento dell’adempimento del terzo nella sfera dei rapporti trilaterali è molto importante al fine di delimitare con precisione l’ambito di applicazione dello schema legale: e di fissarne le conseguenze con riguardo alla posizione che l’autore della prestazione viene ad assumere, rispettivamente, nei riguardi del creditore e del debitore.

E’ necessario che chi esegue la prestazione si comporti come un oggetto totalmente estraneo al rapporto. Si richiede che la prestazione non sia riferita al debitore, nel senso che non sia eseguita in nome o almeno per conto di lui. Se il pagamento fosse posto in essere da un rappresentante del debitore o fosse imputabile comunque alla sfera giuridica di quest’ultimo, il primo sarebbe un semplice strumento del secondo; e l’effetto estintivo conseguirebbe a un comune adempimento: il diritto alla quietanza è dello stesso debitore non del terzo per mezzo del quale il pagamento è eseguito; qualora mancasse l’obbligo dato per esistente, al debitore spetterebbe l’azione di ripetizione dell’indebito.

Qualche precisazione è utile con riguardo alla delegazione di pagamento. Il delegato esegue la prestazione a cui il delegante è tenuto nei confronti del delegatario. Nell’atto del delegato possono ravvisarsi gli estremi di un pagamento che il delegante esegue al suo delegatario per mezzo del delegato. Il delegato adempie un obbligo altrui soltanto nell’ipotesi in cui non sia dichiarato l’intento di dare attuazione alla delega.

Ma, se la direzione della prestazione è indicata in maniera non equivoca, il comportamento del delegato può integrare al tempo stesso gli estremi dell’adempimento di un suo obbligo nei confronti del delegante. Non vi sarebbe modo di ravvisare gli estremi dello schema regolato all’art. 1180. Nel quadro dei rapporti trilaterali può ricomprendersi anche il caso in cui il terzo agisca senza incarico del debitore nella convinzione erronea di estinguere un debito proprio ma in realtà imputabile a un altro soggetto (2036).

L’autore del pagamento è terzo eppure crede di essere parte del rapporto. Questa volta la figura dell’art. 1180 è esclusa non già per la mancanza della qualità di terzo in colui che esegue il pagamento ma per il difetto dell’intento di agire in qualità di terzo. Il pagamento è ripetibile in quanto non dovuto da chi a torto crede di essere debitore.

L’adempimento del terzo nella sua configurazione tipica ha un effetto estintivo dell’obbligo. Il terzo, che non abbia agito con l’intento di liberalità nei confronti del debitore, potrà avvalersi, se ne esistano i presupposti, delle norme che tutelano il gestore d’affari (2028) o il mandatario senza rappresentanza; ovvero ricorrerà sia pure in via sussidiaria e residuale, all’azione di arricchimento ingiustificato.

 

 

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