Il nucleo originario della responsabilità da informazioni non veritiere, dal punto di vista materiale, può esser descritto in termini di violazione di obblighi di informazione: essi, insieme agli obblighi di protezione, sembrano esaurire il rapporto precontrattuale.

Sul terreno giuridico-formale, la responsabilità da informazioni non veritiere sembra attestarsi sullo stesso terreno che si è visto proprio alla culpa in contrahendo, dato che nell’una e nell’altra la ragione della tutela è costituita dall’affidamento.

Da questo è nato l’equivoco che quella da false informazioni potesse essere ridotta alla responsabilità precontrattuale.

Si tratta invece di prendere atto che il luogo giuridico della responsabilità che sia altra da quella aquiliana non è la culpa in contrahendo, ed in pari tempo non è responsabilità da inadempimento, perché la stessa c.i.c. a propria volta si inquadra in un àmbito più vasto nel quale la tutela (dei soggetti in ragione) dell’affidamento risulta la costante di politica del diritto.

Se per la culpa in contrahendo è ormai ovvio che la delusione dell’affidamento, nella quale si concretizza la violazione del precetto di buona fede di cui al 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale), dia luogo a responsabilità di natura contrattuale, la relativa novità della responsabilità da informazioni non veritiere pone ancora il problema di un sicuro inquadramento formale.

Proprio perché l’informazione non veritiera non ricorre solo nelle trattative precontrattuali, la regola del 1337 non può ritenersi di per sé applicabile ad essa sia perché il fatto non è descrivibile come trattativa, sia perché la responsabilità precontrattuale si riferisce anche a violazioni diverse dalla informazione fuorviante.

{Non è ancora chiaro alla Cassazione che la delusione dell’affidamento nella quale si concretizza la violazione del precetto di buona fede di cui al 1337 dia luogo a responsabilità di natura contrattuale.

Cass. 4051/1990, dall’affermata natura extracontrattuale, deriva l’applicazione della norma sulla prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno (2947.1).

In dottrina Rodolfo Sacco ritiene che la responsabilità precontrattuale sia una specificazione di quella di cui al 2043 (Risarcimento per fatto illecito).

Questo però non spiega perché mai esista una disciplina come quella degli artt. 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale) e 1338 (Conoscenza delle cause d’invalidità), la quale in simile prospettiva sarebbe superflua.

Analogamente già Rudolf von Jhering diceva che se si trattasse di responsabilità extracontrattuale, non si spiegherebbe perché le Fonti facciano riferimento ad un’azione propria.

La ragione funzionale originaria della culpa in contrahendo, come lo stesso Rudolf von Jhering la mise in evidenza, è dare fondamento ad una responsabilità che, riguardando un danno meramente patrimoniale, si poneva di per sé al di fuori dell’àmbito proprio della responsabilità aquiliana e perciò non poteva che essere contrattuale.

In effetti essa nasce dalla violazione di uno degli obblighi nei quali si concretizza la buona fede, non direttamente dalla lesione di una situazione soggettiva assoluta.

A non voler prendere atto di ciò, emerge l’affanno di chi è costretto ad inventare una situazione soggettiva (l’interesse alla libertà negoziale) ad hoc per ipotizzarne una lesione atta a giustificare la responsabilità aquiliana.

La previsione specifica degli artt. 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale) e 1338 (Conoscenza delle cause d’invalidità) denota invece che in questo àmbito l’interesse alla libertà negoziale, se mai si tratti veramente di esso, riceve una tutela mediata dalla violazione di un obbligo}.

Dunque correttamente Filippo Ranieri scrive che in materia di responsabilità da false informazioni i confini tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale risultano spesso sfuggenti.

La medesima affermazione però denota che la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale vengono adoperate secondo che convenga o senza contezza di precise diversità che tuttavia sussistono.

Ed il difetto di consapevolezza si traduce sul piano oggettivo dell’ordinamento nella casualità.

Al fine di rinvenire la forma propria della responsabilità che può derivare dalle informazioni non veritiere, quel che sembra rilevare è una “differenziazione a seconda della persona che fornisce l’informazione e del ruolo sociale di chi fornisce il consiglio o l’informazione”, tenendo contro altresì che proprio tale ruolo è in grado di trasformare l’informazione, che pur sia data come tale, in un consiglio od in una raccomandazione {Adolf Merkel nel 1885 diceva che pure nel caso di un cattivo consiglio dato negligentemente non si dà responsabilità, ma che deve essere altrimenti quando il consiglio è chiesto ad un esperto dietro compenso: e ciò perché in tal caso colui che domanda e colui che dà il consiglio non si trovano sullo stesso piano: il primo si trova in una situazione di inferiorità conoscitiva}.

Se l’informazione non veritiera non dà àdito di per sé a responsabilità aquiliana, e se d’altra parte talora la medesima informazione dà vita a responsabilità, è chiaro che quest’ultima non dipende da un diverso configurarsi dell’interesse protetto, ma è funzione di una valutazione che attiene all’agente: si tratta di una responsabilità di stato, la quale è la responsabilità del soggetto professionale, ed è di natura contrattuale nel momento in cui suppone obblighi che sono estrinsecazione dello stato stesso e la cui violazione è ciò che differenzia in generale la responsabilità ex contractu da quella aquiliana.

Lo status professionale rileva come sintesi delle conoscenze alle quali ci si affida perché il professionista non può non metterle a frutto nel fornire l’informazione.

Un soggetto così qualificato è tenuto alla perizia e diligenza previste dal 1176 (Diligenza nell’adempimento), anche se non è obbligato a nessuna prestazione nei confronti di colui che ha chiesto l’informazione.

L’assenza previa del vinculum iuris denota che il soggetto professionale richiesto dell’informazione può non fornirla, proprio perché non vi è tenuto.

Ma nel momento in cui l’informazione viene data, questa non può non esser corredata della stessa perizia e diligenza che la contrassegnerebbero ove essa fosse oggetto di un obbligo di prestazione.

{Ultimamente anche Cass. 5659/1998 è pervenuta a questo asserto, ma in un contesto non condivisibile, nel quale si afferma la risarcibilità ex 2043 (Risarcimento per fatto illecito) di un danno meramente patrimoniale pur dopo aver negato, in sintonia con quanto sostenuto in queste pagine, che “non esiste un diritto all’integrità del patrimonio, poiché se esso esistesse, tutti i danni sarebbero, in sé stessi, sempre ingiusti”, ed aver visto il fondamento della responsabilità da informazioni fornite da un professionista (anche in questo caso una banca) nel “particolare status di quest’ultima”}.

Questo significa quanto dicemmo a proposito del 1176.2 [Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata]: che la disposizione contenuta in esso non indica solo la misura del dovere di perizia alla quale è tenuto il debitore professionale di un obbligo di prestazione, ma riferisce questo dovere ad ogni ipotesi in cui, pur al di fuori di un obbligo di prestazione, tale soggetto esplichi un’attività che, in quanto ad esso imputabile, è ab origine qualificata dalla medesima professionalità e non può non tradursi negli stessi comportamenti che esso adotterebbe ove vi fosse obbligato.

La differenza tra obbligo di prestazione, al quale è tenuto il soggetto agente, ed obbligo di protezione, che nasce nell’esecuzione sul presupposto dell’affidamento generato dalla qualità professionale, non sta in un’ipotetica diversità dei parametri di condotta (diligenza-perizia), ma nella facoltà di non dare corso alla richiesta che caratterizza la posizione di chi non è obbligato alla prestazione.

La differenza di struttura non si limita a riflettere a sua volta la vincolatività-libertà del comportamento, ma si traduce anche nella diversa misura del risarcimento del danno, la quale si sostanzia nell’intervallo tra interesse positivo ed interesse negativo (noto da quando Rudolf von Jhering mise in evidenza, accanto alla prestazione, l’interesse negativo, che con categoria più moderna e più ampia possiamo dire interesse di protezione).

{La responsabilità da obbligazione senza prestazione perciò ha presupposto e contenuto diverso dalla responsabilità da inadempimento.

Proprio perché non è in questione un obbligo di prestazione, non si può pensare nei termini della causa dell’attribuzione nei quali pensa Mario Barcellona quando afferma che la buona fede alla quale è tenuta una parte “trova causa” nella buona fede alla quale è tenuta l’altra.

La buona fede impone obblighi reciproci, a prescindere dalla corrispettività, onde se ne giustifica il diverso significato economico che essi possono avere per ciascuna delle parti del rapporto}.

Così nel caso di informazione-prestazione il creditore ha interesse alla prestazione esatta, la quale costituisce il risultato cui tende l’obbligazione.

Nel caso di informazione libera ma professionale, il soggetto che ne fa richiesta è solo titolare di un interesse a non subire danno, che diventa giuridicamente rilevante (diversamente da quanto accade tra soggetti estranei, nei quali il fantomatico alterum non laedere non aggiunge nulla alla sfera delle rispettive situazioni soggettive) per la ragione che essa si specifica nei confronti di un soggetto professionale, dando vita ad un obbligo (di protezione).

Tale è la natura dell’obbligo di informazione gravante su una parte del contratto nei confronti dell’altra quando l’informazione non costituisca l’oggetto del contratto stesso.

{Così Cass. 2284/1999, che pure in generale afferma la natura extracontrattuale della responsabilità della banca per informazioni inesatte nonostante che vi ponga a fondamento i doveri dello status di imprenditore bancario ed in particolare i doveri di correttezza e buona fede (dalla violazione dei quali coerentemente la responsabilità conseguente non potrebbe che essere contrattuale, dato che il 1175 (Comportamento secondo correttezza) impone le “regole della correttezza” a debitore e creditore, e perciò all’interno del rapporto obbligatorio), ha affermato che “le inesatte informazioni fornite dalla banca […] in presenza di un rapporto contrattuale fondano ovviamente una responsabilità contrattuale”; “Infatti, a maggior ragione nei rapporti contrattuali, lo status di imprenditore bancario, per l’affidamento che crea nella controparte, impone al primo di comportarsi secondo le regole […] della corretta gestione del credito e degli elementari canoni di diligenza, schiettezza e solidarietà”}.

Si può condividere pertanto l’idea che non si risponde per colpa di informazioni non veritiere, salvo che sull’informazione “gravasse già un obbligo specifico di esattezza e di diligenza” (Paolo Cendon), purché si precisi subito che tale obbligo non va fatto coincidere con una prestazione alla quale l’informatore sia giuridicamente tenuto: può trattarsi anche di un obbligo di protezione.

Nell’un caso e nell’altro, esclusa la responsabilità aquiliana, la responsabilità non può che configurarsi come contrattuale.

 

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